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Ne "Il dolore del tiglio" troviamo un grande assente: il giudizio. In un mondo patriarcale che dice, e dicendo impone, alle donne cosa pensare, dire e fare, Laura Scanu traccia due linee del possibile. Senza prescrizioni. Senza aut, aut. Il caso, il probabile. Ognuno gioca il suo ruolo nel decidere le sorti di un'esistenza in bilico fra l'abnegazione, culturalmente richiesta, e la volontà propria che stenta a trovare i suoi luoghi. In un respiro lirico, esalato a più voci, l'autrice dà spazio al detto e al non detto, all'immagine e al suo specchio, senza neanche accostarsi al merito. Un breve libro, di agevole lettura, che merita di essere letto proprio perché evita la presunzione di rispondere ad alcun perché.
Nulla è sempre uguale a se stesso e evoluzione e fusione sono le tappe fondamentali del percorso amoroso. Tu diventi un po' me, io divento un po' te: insieme due "io" si mutano in un "noi", nel rispetto della reciproca identità. Eppure il mito si evolve, anch'esso. E a volte si deforma, purtroppo mostruosamente. La quercia cinge il tiglio troppo forte, provocandogli dolore, spezzandone i rami, violandone le gemme. A volte il tiglio si secca, e muore lentamente. A volte viene reciso d'impeto, e muore in pochi istanti. Tale storia antica, che continua, in mille metamorfosi dell'orrore, ce la racconta ancora, per non dimenticare e per agire, Laura Scanu, nel suo breve romanzo, "Il dolore del tiglio", edito da Twins nel 2016. Emma Fenu
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