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Leggendo questo libro i sono chiesta più volte come ho fatto a imbattermi in questo titolo, non sono riuscita a finirlo! Mi impongo di leggere fino all'ultima pagina anche quando la lettura diviene pesante e noiosa. Sono molto pochi i libri che non sono riuscita a finire. L'ho trovato scontato, noioso, niente di nuovo. Ben scritto ma non è sufficiente per farne un bel libro
Molto coraggiosa e originale questa scrittura che trasferisce il punto di vista di Bambina ( così si definisce la protagonista) sul mondo, sulle persone, sulle superstizioni, sul modo di pensare del suo tempo e dei suoi cari. Geniale anche il modo di trascrivere le parole così come le capisce lei. Per il resto è l'Italia degli anni '60 in un paese piccolo, in una famiglia che, a quanto dice l'autrice, non sembra particolarmente agiata, tanto che la sera a cena ci si nutre con una tazza di latte.
Uno splendido, delicatissimo Bildungsroman! Nella deprivata campagna lombarda degli anni Cinquanta una bambina fra i sei e i dieci anni scopre l'inquietante e talvolta crudele mondo degli adulti e riesce - in parte - a salvarsi dalla sua indifferenza e dalla sua violenza grazie alla passione per la lettura, al confronto con l'immaginario suo doppio Bambina Bis, a una clandestina frequentazione, in compagnia di ragazze più grandi, del cinema di un vicino paese (da qui il singolare titolo). Indimenticabili alcuni personaggi come il "Grande Infame", terribile nel suo squallore. Sono convinto che chi ha letto questo libro lo rileggerà. Ecco quel che hanno scritto in luglio alcuni recensori: "[...] C'è sempre, nella scrittura di Laura Pariani, la necessità di perseguire attraverso la narrazione un’indagine morale profonda, entro la quale l’autrice si pone come una sorta di anima interrogante, così da poter mettere a fuoco, in una dimensione terragna e immaginifica al contempo, un ritratto potente e mai stereotipato dei suoi personaggi [...]" Fulvio Panzeri, Avvenire del 7 luglio / "[...] Una Laura Pariani ancora una volta diversa [...] pur nella fedeltà ai suoi temi più cari (bambini, educazione, condizione femminile) [...] Un romanzo insieme tenero e duro, sorridente e crudele [...] un equilibrio linguistico ricco delle consuete saporose ricreazioni dal dialetto [...] una lingua inventiva ricca di immagini che animano e personificano con naturalezza gesti e natura. Facendo di questo romanzo uno dei vertici della sua storia di scrittrice." Ermanno Paccagnini, la Lettura del 9 luglio / "Più leggo Laura Pariani più mi convinco che sia una degli scrittori italiani più importanti di questi ultimi decenni. Dico "scrittori" e non "scrittrici" perché altrimenti limiterei l'affermazione all'ambito femminile, cosa che non intendo fare. La Pariani riesce infatti in ogni suo libro a costruire un mondo [...]" Roberto Carnero, Domenicale del Sole 24 Ore del 16 luglio
Recensioni
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A partire almeno da La valle delle donne lupo (2011), l’opera romanzesca di Laura Pariani è tra le più interessanti testimonianze di come e quanto si possa lavorare oggi sulla lingua in prosa. La sua ultima uscita per Einaudi definisce già dal titolo l’immaginario narrativo dominante: nel Paese della Noia, specchio di un’Italia ancora parzialmente rurale e anteriore al boom economico, Pariani accompagna la Bambina Senzapaura protagonista del libro nella fascia d’età dai sei ai dieci anni, periodo cruciale per dare i nomi alle cose e interiorizzare le dinamiche della realtà intorno a lei. Costretta suo malgrado a un contesto rigido e conservatore, la Bambina compensa con l’immaginazione le voragini lasciate dagli adulti: il quadrilatero magico che si costruisce, “una boccata d’aria pura nella pesante età del ferro”, ha ai suoi vertici i fumetti e i libri, osteggiati dalla famiglia in quanto perdita di tempo; il cinematografo, che a sentire il prete e le perpetue è motivo di dannazione eterna; i racconti della Serpenta, un’eclettica zitella che le racconta in un impasto italo-spagnolo dei suoi amori in America; i giradischi della Zia Giovane, l’unica in grado di capirla, una maestra delle elementari che è per lei finestra sul mondo di fuori. Per restituire la curiosità definitoria della Bambina, la struttura del racconto si innesta su elenchi, liste e cataloghi attraverso cui viene sistematizzato ogni dettaglio dell’esistenza che sfugge al quotidiano. È nell’assemblare questo edificio che l’autrice mette in pratica anche la riflessione sulla forma, un recupero ponderato della lingua dei lari, una coloritura idiolettica dalla matrice ottocentesca che passa però dallo sguardo sensibile della ragazzina, talvolta involontariamente comico, e quindi si fanciullizza. La grana della narrazione, tuttavia, è ben distante dal confortevole “com’eravamo” che spesso soffoca con la nostalgia dei tempi andati ogni prodotto che si riferisce al passato recente. La vivace fantasia della Bambina, infatti, è frustrata dal bigottismo convenzionale di un universo le cui regole sono ancora quelle proprie della società arcaica, dove la pruderie cristiana sfocia nell’omertà di fronte all’ingiustizia e, in fin dei conti, viene periodicamente tollerata la violenza verso i più deboli, che siano donne abusate, figli picchiati a sangue o Bambine Senzapaura da tenere a bada quando vogliono leggere i libri e si rifiutano di ricoprire il posto – la cucina e il focolare – che l’umanità ha voluto per loro.
Recensione di Matteo Fontanone.
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