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recensione di Della Valle, D., L'Indice 1998, n. 4
La bella traduzione del "Don Giovanni" di Molière nata dalla collaborazione di Delia Gambelli e Dario Fo viene presentata ai lettori corredata da una ricca, appassionata presentazione di Delia Gambelli: ventisei pagine densissime, a cui si aggiungono la cronologia, le note al testo francese e a quello italiano e la bibliografia. Un'interpretazione appassionata, dunque, impegnata, e in certo modo discutibile, proprio perché s'impone come un originale approccio all'opera.
La novità sostanziale del discorso critico di Delia Gambelli nasce dalla prevalenza accordata ad alcuni tratti caratteristici del "Don Giovanni", soprattutto il rapporto tra il "Don Giovanni" stesso e la commedia dell'arte. È un aspetto di cui molti critici hanno sempre parlato come di una componente incidentale, ma che la Gambelli fa assurgere a funzione determinante e di cui si serve per analizzare l'opera intera. All'interno di questa impostazione, il problema che si pone e che l'analisi cerca di risolvere è la spiegazione dello scandalo che, dopo il primo straordinario successo, si abbatté su quest'opera e continuò a schiacciarla per secoli; uno scandalo che deriva - secondo la Gambelli - dalla differenza tra il Don Giovanni molieriano e gli altri Don Giovanni secenteschi. Questa differenza è analizzata in tanti rapidi paragrafi, densi e suggestivi: un Don Giovanni poco... dongiovannesco e meno colpevole, la scomparsa o almeno la riduzione della presenza dei vecchi come simbolo del potere, l'importanza dell'uso delle macchine e della loro funzione, il significato dell'abito - quello di Don Giovanni e quello degli altri personaggi - nello svolgersi dell'azione, l'uso della medicina come espressione della fede. Ne risulta una particolare lettura dell'opera come espressione del rifiuto di una visione dell'arte e della morale: una visione che s'identifica con un certo tipo di teatro (sostanzialmente, la tragedia), a cui si contrappone una commedia che "travalica gerarchie e pregiudizi, mette in gioco i sensi e i confini; dove le furberie sono esibite (...) dove le macchine sono trasparenti, che siano nascoste tra le quinte del palcoscenico o tra le pieghe (...) di un testo e di un'anima".
Questa introduzione al capolavoro molieriano, così intelligente e serrata, è molto coinvolgente, e il lettore non può che aderire alle brillanti pagine della Gambelli. Alla fine, però, quando si ritorna a percorrere il testo, quella dimensione di discussione a cui alludevo all'inizio riemerge; e ci accorgiamo che il discorso della Gambelli ha finito col trascurare alcuni passaggi che possono sembrare fondamentali: se non altro la scena con il povero e quelle sull'ipocrisia di Don Giovanni. Nasce allora il desiderio di reinserire questi passaggi nell'interpretazione appena letta, di proporne alcune varianti, o di suggerire qualche ipotesi correttiva. È appunto una prova in più della vitalità di questa proposta di lettura.
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