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Un inizio un po' lento recuperato da un ottimo finale. Nel complesso scritto bene. Bel libro sulle insidie nascoste dentro le nostre comfort zone, ma non comprendo tutto il clamore suscitato negli USA.
Avviso ai naviganti: è un libro tremendo. Nel senso di angosciante. Di angoscia femminile, pericolosa, senza redenzione. E questo è il tema centrale. Ma ce ne sono altri, collaterali, che ne ampliano e completano il senso. Anna: una donna insoddisfatta, una donna infelice, una donna complessa, tormentata, sola. Cerca rifugio alla sua mancanza radicale nell'avventura dei sensi, anzi: nel sesso, che è sempre elementare, basico, è un rapporto intenso e fulmineo, ma che non può stabilire una vera relazione. Perché Anna vive nascosta nella sua estraniazione, abita l'estrema piega della sua separatezza, custodisce in silenzio il segreto della sua menzogna. Insonne sulla panchina. In viaggio sui treni. Raccolta e compresa dentro i suoi impeccabili vestiti. Circondata da una Svizzera perfetta e straniera. Con una famiglia perfetta e straniera. Senza mai sentirsi a casa. Anna è in cura da una psicologa junghiana, da cui noi lettori apprendiamo molto. Lei invece no. Anna è sposata (con un banchiere, ovviamente) e abita vicino a Zurigo da nove anni, ma ancora non conosce la lingua. Va a lezione di tedesco e anche da questo apprendiamo molto. Perché l'organizzazione linguistica appartiene alla struttura dell'essere, è la grammatica che mette in ordine la realtà. Ma Anna fatica ad accedere a questo ordine. Lei non sa da dove cominciare, si abbandona al sentimento della propria vulnerabilità, che è voluttà, estasi sessuale ma anche sehnsucht, struggimento, il "buco nel cuore da cui fuoriesce ogni speranza". Perché ogni cosa ha una variante, e questo è forse uno dei concetti principali espressi da questa storia: ci sono diversi tipi di verità, diversi tipi di amore, molteplici visioni di sé e dell'altro. Noi abitiamo molte dimore contemporaneamente. Ma a chi è affidato il compito di metterle in ordine, di comprenderle?
Bellissimo libro, una vera scoperta. Il personaggio di Anna è delineato in modo magistrale, tutte le sue ombre, i suoi deliri, le sue debolezze. Un viaggio nella disperazione di una donna.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il titolo e la copertina potrebbero trarvi in inganno. Infatti, Una donna pericolosa sembrerebbe preannunciare storie di crimini, avvelenamenti, inseguimenti e tutto quello che si trova in un giallo o simili; eppure non è così.
Il titolo originale, Hausfrau, è sicuramente più composto e pregnante rispetto a quello in italiano, soprattutto perché «Hausfrau», dal tedesco, significa casalinga e questo romanzo parla proprio di una casalinga in preda alla noia e ad una «fottuta infelicità».
«Anna seguì il sentiero finché raggiunse una panchina in cima alla collina. Quella collina, quella panchina, le molte, moltissime fughe a notte fonda… Anna non avrebbe saputo dire quante volte era salita lungo quel sentiero solo per andare a sedersi lì. Con la pioggia, con la neve. Nei fine settimana o nei giorni feriali. In notti di assoluta disperazione. Notti in cui l’aria era insensibile o brutale. Quando il dolore orribile della solitudine le addentava il collo. Quando il paesaggio e il suo cuore ferito avevano la meglio su di lei. Questa era la sua panchina. La panchina dove veniva a sedersi e a piangere.»
Anna è un’americana trapiantata a Zurigo dopo il matrimonio con uno svizzero, Bruno Benz, banchiere alla Credit Suisse. Da nove anni vive in quella città col marito e i suoi tre figli, Charles, Victor e Polly Jean. La routine zurighese, tra le montagne «opprimenti», il lago e la «ricchezza svizzera» la deprimono a tal punto da chiedere un consulto psicologico alla dottoressa Messerli, che le dirà che «una donna sola è una donna pericolosa. Una donna sola è una donna annoiata. Le donne annoiate agiscono d’impulso.», e la esorterà a frequentare un corso di tedesco. Da qui in poi, Anna Benz cercherà in ogni modo di sfuggire alla noia, attraverso avventure sessuali con alcuni uomini a cui si concederà con estrema facilità per sentirsi delle mani addosso, «un bisogno di essere posseduta e violata da uomini diversi per sentirsi viva: ma senza felicità».
Da queste storie di amore e sesso cominceranno a scattare in Anna dei moti di quasi-pentimento, i sensi di colpa la divoreranno e quella che avrebbe potuto essere una vita felice in uno dei luoghi «migliori al mondo» si trasformerà in un caos e nella tristezza e apatia più assolute. Fino alla fine.
Il romanzo, che è stato paragonato a Anna Karenina e Madame Bovary, e che con tre edizioni in pochi giorni, tradotto in tutto il mondo e pubblicato in 19 paesi, è diventato uno dei bestseller più attesi in America, ricorda senza dubbio, oltre alle eroine della letteratura citate, con le quali ha in comune il tema del tradimento, la disperazione e la sorte (anche i nomi di Charles in Madame Bovary e di Anna in Anna Karenina possono essere dei colti rimandi), il film Nymphomaniac di Lars von Trier. Vi si trova lo stesso squallore e lo stesso malessere della protagonista, che vive, come unico sfogo alle proprie frustrazioni, una sessualità disordinata e convulsa, e genera a sua volta malessere e rabbia in chi le sta accanto: come Jo in Nymphomaniac, anche Anna, la «donna pericolosa» a un certo punto dovrà decidere se continuare la sua vita da «buona moglie» e Hausfrau, oppure se continuare con le sue avventure.
Addirittura la costruzione è la stessa: il dialogo con la psicologa, la dottoressa Messerli, alla quale si racconta (in Nymphomaniac i dialoghi tra Seligman e Jo), i paragoni tra la sua storia ed elementi naturali e aneddoti dotti (il fuoco, la chiesa medievale…), le storie parallele con il marito, gli amanti e l’uomo della sua vita. Si può ritrovare nello svolgimento anche il von Trier di Antichrist (nelle scene contemporanee del rapporto sessuale e della morte del figlio).
Il libro abbonda purtroppo di cliché sulla Svizzera, che viene descritta come luogo in cui si mangiano solo formaggio e Rösti e non c’è null’altro se non banche, soldi, cioccolata, coltellini (Messerli, il cognome della dottoressa significa proprio questo), bambini «dal colorito sano e cresciuti a latte», e l’utilizzo forzato di tutte quelle parole in svizzero tedesco (altra similitudine con Anna Karenina, nel quale c’è un forte utilizzo di termini francesi poiché la si riteneva lingua colta) rischiano di far risultare ridicoli anche i momenti più tristi del romanzo per l’uso eccessivo. Stesso discorso vale per le scene di sesso, al limite del grottesco e con dialoghi piuttosto trash.
Il finale invece alza il tono e riesce a commuovere: sibillino ed elegante lascia spazio, forse, anche alla speranza.
Nonostante Jill Alexander Essbaum sia annoverata tra i migliori poeti americani dal 1800 ad oggi, Una donna pericolosa non convince totalmente. Solo l’ultimo capitolo riesce a riscattare un romanzo che per quasi tutta la sua estensione risulta un insieme di scene note e di déjà-vu.
Recensione di Stella N’Djoku
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