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Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici
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Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici - Veronica Pravadelli - copertina
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Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici

Descrizione


Di fronte allo schermo, dentro l'immagine, dietro la macchina da presa: spettatrici, attrici e registe, di quali desideri e identificazioni, di quali espressioni e di quali produzioni sono state protagoniste le donne nella storia del cinema? Sedute al buio della sala hanno imitato le loro eroine e si sono riconosciute in loro. Sono state dive irraggiungibili e insieme personificazioni di tipi sociali, come per esempio la New Woman degli anni '20, con la sua relazione inedita con il lavoro, il tempo libero, il sesso. Il libro interpreta le immagini di dive come Clara Bow, Barbara Stanwyck e Joan Crawford sino a Sophia Loren, Jane Fonda e Angelina Jolie. Ma ripercorre anche l'opera delle registe: partendo dal cinema muto, attraversa i classici hollywoodiani, le nouvelles vagues europee, il cinema d'avanguardia femminista, la narrazione sperimentale degli anni '70 e '80, sino al cinema indipendente degli ultimi vent'anni.
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Dettagli

2
2014
3 aprile 2014
VII-227 p., Brossura
9788858111093

Voce della critica

 
Il legame tra femminile e cinema rischia spesso di ridursi al ruolo delle attrici, tra divismo del passato e glamour del presente, dando quasi per scontato che concetti quali la bellezza e il desiderio postulino comunque uno sguardo maschile. Il libro di Pravadelli rompe questo luogo comune e articola un’analisi compiuta della triplice dimensione attraverso cui la donna è stata protagonista nella storia del cinema e nella definizione di codici non solo estetici e narrativi, ma anche sociali e culturali, analizzando il piano attoriale, ma anche quello spettatoriale e autoriale.
L’approcio al testo si pone nel solco dei cultural studies, in particolare dei gender studies e dell’importanza che dagli anni settanta ha rivestito la definizione della feminist film theory come apporto fondamentale nel rileggere il cinema, del passato e del presente, considerando anche la questione dell’identità di genere.
In questa prospettiva, il libro riflette sulla centralità delle donne nella storia del cinema, non solo quando appaiono sullo schermo. Costituendo metà delle audience cui si rivolgono i film, le spettatrici hanno sempre svolto un ruolo chiave, non solo per decretare il successo commerciale, in un rapporto che spesso è stato letto solo in senso univoco, per cui il cinema per le donne sembra essere postulato unicamente dagli studi di produzione. Viceversa, Pravadelli articola una riflessione complessa sul ruolo che le spettatrici hanno svolto per la propria emancipazione identitaria, ma anche per orientare i gusti e la produzione industriale, e di conseguenza le scelte produttive e narrative, permettendo ai film un reale successo e la diffusione nell’ìmmaginario collettivo.
In questa prospettiva, il fenomeno del divismo va riletto in modo più articolato, senza essere ridotto a pura costruzione commerciale da parte dell’industria cinematografica. Milioni di sguardi femminili sono la condizione necessaria per cogliere la complessità delle dive e della loro evoluzione nel corso degli anni, in cui dalla pin up si è passati a modelli di donne alternative, con figure intelligenti e ambiziose, mai subalterne. In estrema sintesi, la linea Jean Harlow, Marilyn Monroe, Gina Lollobrigida, Sofia Loren è parallela alla linea Bette Davis, Joan Crawford, Katherine Hepburn, Anna Magnani, fino a una sintesi contemporanea come Angelina Jolie, non a caso perfetta per una post-diva come Lara Croft.
Con qualche amarezza, non appare casuale che la parte più ampia del libro coincida con il ruolo a tutt’oggi meno rappresentantivo del femminile al cinema, ovvero la regia. Dalla pioniera Alice Guy alle avanguardie di Germaine Dulac e Maya Deren, dalle “nuove onde” di Agnès Varda e Vera Chytilova, fino al cinema di genere di Chantal Akerman e Alina Marazzi, le registe spesso sembrano relegate ai margini, in un mestiere ancora molto maschile. Ma il fatto di essere sempre indipendenti, d’avanguardia e rivoluzionarie, forse è la condizione chiave per una pratica del fare cinema che per statuto non può che essere fuori dagli schemi. Non solo di genere.
 
Michele Marangi

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