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Confesso l'iniziale difficoltà ad esprimere il mio personale apprezzamento per il bel romanzo "Donne del Sud" di Massimo Conocchia, avendone letto l'illuminante postfazione del prof. Librandi e altri appassionati commenti che ben condivido. Quale allora il mio sincero approccio a questa seconda opera di un autore da subito prediletto per la fiera sensibilità del suo impegno a raccontare la "terra di Calabria" sua patria culturale e affettiva? Certo nonna Angelina nella sua statura morale tutto riassume.Il fitto tessuto narrativo intreccia i temi necessari alla costruzione della storia: la condizione subalterna della donna e la sua emancipazione, la violenza impotente del maschio e l'amore che disturba le coscienze e costruisce il personale destino.Epopea minore solo per confini geografici ( e che si dischiuderà nel finale ai più ampi orizzonti d'America) e non certo per profondità di narrazione; basti vedere l'uso fulminante del dialetto, i personaggi minori (quasi da presepe) i grumi di cronaca citata a rafforzare il discorso, l'uso del corsivo, contrappunto alla voce narrante e, non ultima, la metafora e la poesia a soccorso della complessità del dire. Fanno capolino sempre la politica (e la corruzione), la medicina con le sue patologie e i suoi rimedi e per contro, i rimedi popolari, le superstizioni. La famiglia è ancora espressione di solidarietà pur con tutti i suoi triboli, le costrizioni. Ne deduco che proprio nell'iniziale condizione di inferiorità la donna può trovare lo spazio per la coscienza e per la ribellione mentre il maschio, favorito dall'ambiente, ne viene più plasmato e inghiottito.Il "lessico famigliare" del romanzo è alto, articolato, credo per adesione ai personaggi dell'autore che forse potrebbe dire, emulando Flaubert "Francesca sono io". Ma, in grazia sua, ella vive di vita propria, tanto che mi viene spontaneo domandarle "che ne è di te?", "che ne sarà di noi?".
Il romanzo è ambientato in un paese sperduto di Calabria e la storia ha per protagonista Francesca, una donna giovane e bella, nata per librarsi come l'Albatro di Bauedelaire nei mondi dell'intelletto e del sentimento che le sono congeniali. Per un destino sfortunato, che si accanisce contro le donne del Sud, costrette da antiche tradizioni alla subalternità nei confronti degli uomini, vive sofferenze così profonde che lo stesso lettore (o meglio lettrice) sente quasi come sue. La protagonista conosce le prime gioie dell'amore e quando questo le viene negato si rassegna a una esistenza fatta di soprusi e rinunce, accettando passivamente un matrimonio "di convenienza". Tutta la sua esistenza è caratterizzata da violenze e angherie per una vita voluta e negata e dalla depressione che la porta, quando perderà nonna Angelina, suo unico appoggio e punto di forza, a pensare alla morte come soluzione di ogni sofferenza. Francesca, forte come dice l'autore di una "rabbia lunga" avrà nella maternità la determinazione e il coraggio che cambieranno per sempre il suo atteggiamento nei confronti della vita. Il romanzo colpisce per la dinamica incessante degli eventi e per l'accurata descrizione di luoghi e di persone. Da qui si evince la profonda conoscenza da parte dell'autore della psiche dei personaggi e il suo viscerale, invincibile legame con una Calabria in cui usi e tradizioni influiscono inesorabilmmnte sulla mentalità di una terra che appare avulsa da ogni forma di progresso e modernizzazione. Solo la protagonista, Francesca, esce vittoriosa da questo mondo e il finale è quasi glorioso. La catarsi attraverso il dolore di Francesca è il compimento più bello di un romanzo che ci trasporta dalla prima all'ultima pagina in un mondo tragico e selvaggio dove tuttavia la voglia e la capacità del riscatto sono ancora possibili.
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