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Con poche parole, ben levigate e incastonate, l’autore riesce a esporre un quadro significativo e privo di fronzoli di una parte del reale quotidiano che normalmente siamo abituati a vedere in un più ampio panorama narrativo. “Dove guardi” porta ad osservare nella stessa direzione di sempre, ma con quel piccolo spostamento angolare che mette in luce particolari sfuggevoli: è come se Ferri, dotato di una macchina fotografica con teleobiettivo medio, mettesse bene a fuoco oggetti, relazioni ed eventi, mostrandone ai lettori una stampa ben incorniciata. E’ una specie di detective che si apposta attendendo l’avvenire di qualche cosa che possa rilevare una anomalia nel sistema del quotidiano: “Appostato nel sedile dell’auto / aspetto davanti al supermercato. / Nel buio camminano le persone / raccoglitrici con le sporte di plastica. / Escono nel soffio delle porte a vetri, / scendono da una rampa perdendo / luce…. / Vista dal parcheggio / di una notturna dispensa collettiva / la Terra è fragile, non può / inghiottire tutto”. E qualche anomalia la rilava, anche se trattasi di una anomalia vaga, come presentita ma non dimostrabile, neppure con una attenta osservazione dei fenomeni. “C’è una credenza, con sportelli e cassetti che erano bianchi, e un tavolo, con la pianta di fòrmica verde e gambe metalliche, anche le due sedie sono così, di fòrmica verde con gambe metalliche, un po’ arrugginite. Il pavimento è di piastrelle di graniglia. Sulle pareti non c’è niente…”.
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