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Non è il primo libro di Ovadia che leggo, ho avuto modo di incontrarlo di persona e assistere alla esibizione sua e del suo gruppo: per me è l’ennesima conferma della sua personalità poliedrica ma coerente, con la quale interpreta la cultura ebraica ma non solo, un grande affabulatore che con l’affascinante ironia che lo contraddistingue ci guida in pellegrinaggio nel mondo yiddish e ci descrive i protagonisti della diaspora, che vivono tra un witz e l’altro alla sequela della Torah e del Talmud. Significativo quanto riportato sul retro della copertina del libro: “…Ovadia ci guida alla scoperta di un umorismo profondamente dialettico che racconta la precarietà e la naturale diversità di un popolo che nasce esiliato da se stesso e dagli altri, che coltiva le proprie radici senza una terra in cui riconoscersi…Un umorismo che scardina l’intero patrimonio di certezze, di ideologie, di pregiudizi, in cui una comunità riconosce se stessa.”.Per il resto, condivido il commento di Eugenio.
Questo libro è la migliore introduzione alla comprensione del mondo di Moni Ovadia. Tra una barzelletta e un racconto, si snoda una cultura di una profondità abissale, una cultura davvero superiore, perché capace di ridere di se stessa, di capire i propri limiti e di mettersi sempre in discussione. Moni Ovadia è il miglior erede di quella comicità che trovò in un altro grande ebreo, Charlie Chaplin, la sua prima espressione. Con Charlot non era mai messa in evidenza l'ebraicità (salvo nel Dittatore): Moni Ovadia invece la esibisce in modo chiaro e la spiega in modo esauriente. Il Dio di israele è un Dio che ride e chi è dialogo con lui deve sapere ridere di sé stesso e di Dio. Lo stile accattivante, la scioltezza espressiva, l'arguzia e la sapienza trasudano da ogni pagina di questo delizioso libro, vero manuale per cominciare a capire l'ebraismo, stupendo livre de chevet, da leggere e rileggere senza timore di annoiarsi, mai.
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