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E’ vero: le grandi crisi ribaltano le vecchie “piramidi dei bisogni”, ma servono anche per capire la natura più profonda delle cose che viviamo. L’autore propone una “quaresima da capitalismo” come terapia: dimentica di Pil, spread, debito pubblico e patto di stabilità. Manca la agape e la charitas come pure la mitezza, umiltà, speranza, anima, dono, fiducia, fede, dono, ecc. Ecco allo intreccio di vizi e di virtù dell’economia, del capitalismo come religione di «sola prassi» Florenskij talchè oggi servono nuove prassi, nuove esperienze non nuove tecniche, nuove leggi, nuove teorie, bensì di un nuovo spirito. Tutti i miliardi che stanno affluendo dall’Europa sono un nuovo problema: aumentano il debito pubblico aggiungendosi al debito corrente, scaricando i nostri guai sui giovani e sui bambini e sul futuro. Se l’economia vuole veramente evolvere verso il sostenibile, deve diventare meno animale e più vegetale. Meno gerarchia e più potere distributo, meno velocità, meno spostamenti fisici di persone e di merci, più ancoraggio al territorio, più capacità di pensare e vedere con tutto il corpo (...) virtù cooperative e non più quelle delle gare e della competizione. Se non lo farà, la green economy sarà l’ennesima verniciatura che non cambia la natura del modello economico, l’ennesimo business per affaristi senza scrupoli in cerca di rendite e profitti p. 151 Una guerra in Europa ha tolto il velo sulla nudità delle nostre istituzioni e della nostra civiltà. Siamo stati anestetizzati dal consumismo, dalla ricerca del benessere privato. Abbiamo disinvestito drammaticamente in politica, la meglio gioventù si è occupata d’altro (non-profit, organizzazioni, cooperazione, Ong..), e lo spazio della mediazione della politica è stato occupato da sciacalli e iene. Un libro diretto, forte, animato da una profonda fede.
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