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Se dovessi definire in poche parole il contenuto di questo libro, direi "psicologia da McDonald's". Si tratta di un altro, ennesimo prodotto del filone post 11 settembre, da cui, com'era ovvio, è venuto fuori davvero di tutto. Qui troviamo, se non altro, il tentativo di una prospettiva differente, la descrizione del punto di vista delle vittime, indipendentemente da tutte le connotazioni politico-ideologico-petrolifere che hanno portato alle nefaste conseguenze che tutti possiamo osservare. Ma, ahimè, l'autrice non riesce a sfuggire (o meglio, non ci prova neppure) ad una facile spettacolarizzazione dei sentimenti... Il risultato è il fallimento totale dell'analisi e della caratterizzazione psicologica dei personaggi, i quali danno piuttosto l'impressione di stare su un gran palcoscenico, sotto potenti riflettori, tutti tesi a cercare la frase ad effetto, l'azione meno scontata, l'uscita-ad-effetto-da-tipo-vincente-degno-di-un-film, dimenticandosi forse che durante un dirottamento le preoccupazioni della gente sono altre, e non manca il colpo di scena di una scontatezza imbarazzante. Il tutto protratto per 348 pagine che alla fine cominciano ad attorcigliarsi attorno alle budella... Insomma, mi si perdoni l'espressione, una vera e propria americanata, intendendo con questa parola l'incapacità di rinunciare ad espedienti narrativi accattivanti in favore di una narrazione forse più ostica, ma più profonda, più reale... e forse più europea. Insomma, l'idea era buona, ma il tentativo di sviluppare un tema senz'altro promettente con metodi narrativi da best seller da banco di supermarket alla Stephen King tarpa le ali ad ogni tentativo di scendere in profondità.
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