La storia, come ogni racconto, è insieme creativa e coercitiva. Ogni storia è un atto dispotico, una composizione, un montaggio arbitrario di una materia complessa, sfuggente. Non vi è dunque storia oggettiva, ma un confronto continuo tra l'esigenza di ordine e lo scorrere liquido della realtà opaca. La storia del cinema non fa eccezione. Basta prendere un manuale qualsiasi, e ci si accorge che, nello sviluppo lineare e progressivo del linguaggio cinematografico, a ogni autore è assegnato un ruolo ben definito, un corredo di attributi, un'epoca, ed egli deve docilmente accettare di esaurirsi nelle poche pagine di un paragrafo o di un capitolo. Chi è Sergej Michajlovic Ejzenstejn? Il regista dell'avanguardia degli anni venti, il teorico del montaggio intellettuale, l'autore della celebre sequenza della scalinata di Odessa, il manipolatore della psiche dello spettatore. Ejzenstejn figlio della Rivoluzione, servo del regime, formalista, ateo. Ejzenstejn obsoleto. Per fortuna, di tanto in tanto, si incontra qualcuno che racconta in modo diverso. È il caso del saggio di Antonio Somaini, che suscita interesse sia per il contenuto, l'ampia gamma di informazioni che ci offre, sia per la forma narrativa adottata. Se Queneau distingue le narrazioni in iliadi e odissee, riferendosi ai due grandi archetipi dell'assedio e del viaggio, possiamo affermare che la lettura di questo saggio risulta gustosa proprio grazie a un uso sapiente di entrambe le vie narrative. Il libro si muove apparentemente lungo un percorso lineare, rispettando l'ordine cronologico degli eventi, offrendo al lettore il lungo "piano-sequenza" dell'evoluzione di Ejzenstejn, del suo cinema e della sua personalità. Si parte dall'esperienza teatrale, avviata all'indomani della Rivoluzione, e da quella professione di scenografo grazie alla quale Sergej Michajlovic comincia a sperimentare quei principi che lo accompagneranno per gran parte della vita: l'efficacia del prodotto artistico, l'irruzione (aggressiva) della realtà nell'opera, il ruolo primario del montaggio. E così si procede, attraversando la biomeccanica di Mejerchol'd, il successo della Corazzata Potemkin, la polemica contro il cinema "asessuato" di Vertov, le sperimentazioni di Ottobre, l'esperienza folgorante del viaggio in Messico, che trattenne il regista lontano dall'Unione Sovietica per tre anni. E poi il ritorno in patria, il clima profondamente mutato degli anni trenta, il realismo socialista, i progetti mai iniziati e quelli sospesi. Il rapporto difficile con Sumjackij, promotore del "cinema per i milioni", i premi e l'approvazione ottenuti per Aleksandr Nevskij e per la prima parte di Ivan il terribile, la prevedibile censura delle sperimentazioni di La congiura dei Boiardi, ultimo lavoro di Ejzenstejn. Naturalmente Somaini non attinge esclusivamente alla filmografia del regista sovietico. Un ruolo di straordinaria rilevanza è assegnato alle riflessioni teoriche: quelle pubblicate, quelle solo progettate e quelle "private", custodite al riparo da un regime che difficilmente ne avrebbe digerito la profondità. Ma ciò che contribuisce maggiormente a dare di Ejzenstejn un ritratto inedito e ricchissimo d'interesse è il riferimento costante all'attività di disegnatore, quel "cinema virtuale", quella "scrittura automatica", simbolica e spensierata, alla quale il regista dedicava gli ultimi momenti della giornata. Il saggio è corredato di bellissime illustrazioni che riportano alcuni tra i numerosi disegni realizzati da Ejzenstejn, la gran parte durante il viaggio in Messico, sedotto dal fascino arcaico delle corride. Tuttavia, nella lettura del saggio, dietro il percorso narrativo lineare ne traspare un altro. Al piano-sequenza dell'odissea si accompagna l'assedio dell'iliade, un procedere a balzi, un montaggio articolato e conflittuale di aggiornamenti e riconsiderazioni che trasforma il percorso a una dimensione in ipertesto e in spirale. I vari momenti della vita di Ejzenstejn si richiamano reciprocamente, acquisiscono senso tramite un montaggio a distanza squisitamente cinematografico, estatico. Basti pensare alla celebre sequenza della centrifuga del latte di La linea generale, la cui carica erotica diviene pienamente evidente nelle pagine di La natura non indifferente, interamente dedicato al concetto di estasi, redatte quasi vent'anni più tardi. E c'è ancora un altro aspetto che colpisce nella lettura del saggio, e per chiarirlo ci viene in aiuto la terminologia cinematografica: Ejzenstejn viene inquadrato di volta in volta con ottiche diverse. Si utilizza spesso il grandangolo, che lo inquadra sullo sfondo delle correnti artistiche e ideologiche a lui contemporanee o che lo hanno preceduto. In altre occasioni l'autore zooma fino al dettaglio, attingendo all'interiorità tumultuosa del regista, individuando significativi nessi tra le sue scelte estetiche, le costruzioni teoriche e ideologiche e i rivolgimenti esistenziali che lo attraversano: un esempio su tutti il viaggio in Messico, la scoperta di una sensualità dionisiaca che lo coinvolge personalmente e che confluirà in molte delle scelte stilistiche successive e nelle più importanti teorie che fondano La teoria generale del montaggio e La natura non indifferente. Seguendo questo percorso estatico e le regole del montaggio connotativo, Somaini ci offre il ritratto incompiuto di un artista che ha provato a vivere pienamente le possibilità di un linguaggio, quello cinematografico, contemporaneamente esterno e interno alla vita, intra ed extra-diegetico. Un cinema fatto di ordine e disordine, una cornice rettangolare, dai limiti geometrici, che soffre e si offre all'invadenza del fuori-campo, dell'imprevisto, del divenire. Controllo ed eccesso. L'urgenza di afferrare la perfezione dell'opera efficace e l'abbandono disarmante al flusso dei cambiamenti, dei continui ripensamenti, degli aggiornamenti. Ejzenstejn affonda le mani in questa feconda contraddizione del cinema. E a volte sembra che il suo rigore artistico e scientifico sia solo un pretesto che il suo animo bambino utilizza per giocare con questa scatola misteriosa, con questa curiosa macchina che consente di duellare e "danzare" con la vita. Il primo dei due infarti che uccisero il regista lo colse proprio nella foga di un ballo, mentre danzava con un'attrice. Andrea Laquidara
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