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recensione di Mancia, M., L'Indice 1998, n. 8
La vivace e stimolante scrittura di Colwyn Trevarthen ci regala numerose suggestioni in questa raccolta di articoli. Nel clima generale che contraddistingue il pensiero scientifico attuale - tutto teso a dare giustificazioni razionali a un rassicurante ma desolante isomorfismo mente-cervello, peraltro insostenibile ma molto conveniente - quanto Trevarthen esprime nei suoi scritti ci conforta.
A partire dai rigorosi studi naturalistici e biologici, attraverso le ricerche neurofisiologiche con Sperry, Trevarthen è giunto alle funzioni psicologiche e allo sviluppo della mente infantile. Forte della sua profonda conoscenza della storia dell'evoluzione naturale, che non vede alcuna soluzione di continuo fra il versante biologico e quello mentale e sociale, l'autore ci offre una lettura dello sviluppo della mente in cui sembra prevalere un aspetto innatistico. In realtà quello che riesce a dimostrare è che noi siamo innatamente "umani" e che il nostro sviluppo è sì segnato fino dall'utero e dal Dna, ma nel senso della relazione affettiva.
Attraverso il libro si snoda uno straordinario percorso che ci porta dall'embriologia, alle emozioni, alla creatività dell'uomo, mostrandoci come in realtà ciò che è innato nell'essere umano è la capacità di vivere di emozioni e affetti attraverso la relazione. Non è dunque tanto la nostra componente biologica a condizionare il nostro sviluppo, bensì quella "umana", relazionale e relazionata. Nel nostro Dna, le diverse combinazioni ci portano non solo ad avere caratteri somatici differenti, ma anche atteggiamenti, emozioni, comportamenti assolutamente dissimili, in ragione del fatto che è la relazione a plasmare persino i nostri terminali sinaptici. I nostri mille milioni di milioni di sinapsi mediano elettricamente e chimicamente degli impulsi la cui origine sta però nella "innata" possibilità della mente umana di provare emozioni e affetti che li generano a causa della relazione che il feto ha con se stesso, la madre e gli oggetti che ha a disposizione.
Nel capitolo sulle emozioni, Trevarthen afferma che esse sono regolatrici delle attività psicologiche, non i loro prodotti: "Sono cause, non effetti, della percezione e dell'azione". Le funzioni intese a formulare atti possono risultare relativamente indipendenti dalla percezione del mondo esterno e venire generate dall'interno, come parte di una strategia di crescita mentale. Ma il neonato apprende le cose del mondo anche attraverso un processo di consapevolezza condivisa: è la reciproca regolazione di bambini e adulti per mezzo delle emozioni nel corso della comunicazione a rendere possibile l'ordinato sviluppo dell'autocoscienza. "Gli eventi cognitivi superiori conservano le esperienze e sviluppano modi nuovi per immaginarle e utilizzarle - scrive Trevarthen. Ma l'embriologia cerebrale custodisce la fonte dello spirito umano che conferisce energia a questa ricerca di esperienze da parte del neonato, che si attende di vivere in compagnia di altre persone vive e di imparare con loro".
Trevarthen è assolutamente d'accordo con Winnicott nel considerare il gioco come un'attività serissima che porta alla creazione di una cultura, di cui l'uomo ha bisogno per esistere. Egli ritiene che il fattore chiave del gioco sia l'esuberanza. L'esuberanza comportamentale del gioco è "intersoggettiva, avviene fra le menti e possiede un aspetto morale". Crea scambio, comunicazione e, appunto, cultura. L'esuberanza non è l'imitazione, - che pure è fondamentale nel processo dello sviluppo -, ma una spinta irrinunciabile dell'essere umano che possiede un sistema di emozioni completo già prima della nascita, che ne dirige la coscienza, l'azione e l'apprendimento. Ed è sempre dalla stessa spinta a scambiare emozioni che deriva la produzione artistica umana, la sua creatività: "le opere d'arte sono possibili poiché le menti umane sono predisposte, in maniera innata, a sviluppare e tener vive le loro coscienze lungo linee parallele e in comunicazione collettiva". Gli artisti creano "narrazioni" a partire dai loro sentimenti e dalla loro immaginazione, perché gli altri uomini si possano mettere in relazione, attraverso le emozioni che gli artisti trasmettono, con le loro proprie emozioni. Dunque, comunicazione empatica e coinvolgimento emotivo affettivo sono alla base dello sviluppo e dell'evoluzione della specie umana. Come si può non gioire di queste affermazioni, nell'era della spiegazione neurormonale di qualsiasi sentimento? Questa è proprio musica per le orecchie di chi, avendo speso un'intera esistenza nel rigore della sperimentazione scientifica, non ha mai scordato il rispetto assoluto per l'oggetto ultimo della ricerca umana, e cioè l'Uomo, fatto ancor prima di venire alla luce, per "vivere in comune e costruire miti".
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