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Le diverse discipline scientifiche della natura propongono immagini dell’uomo tanto insostituibili quanto utili, pure, dice l’autore, porterebbe ad un fraintendimento sostanziale pretendere di spiegare la complessità dei fenomeni culturali servendosi dei soli paradigmi delle scienze naturali. Soprattutto, una spiegazione in via esclusiva da questi derivata porta ad una sostanziale cecità nei confronti della specifica singolarità di ciascun uomo. Un libro molto affascinante, profondo, rigoroso nell’argomentazione e chiaro nell’esposizione.
Condivido. "Invitare tutti a leggerlo". Magari saltando la prima parte, che è un po' troppo specialistica e "difficile". Ma il resto, vi resta...
Recensioni
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recensione di Borgna, E., L'Indice 1997, n. 7
Nel leggere questo libro di Sergio Moravia sono stato preso, lo confesso, dal più vivo entusiasmo: entusiasmo dinanzi a un'opera insieme aperta su un vasto orizzonte di problemi eppure mai generica, sempre rigorosa ma anche limpida e chiara - e, soprattutto, capace di suscitare nel lettore genuine emozioni e passioni.
Cosa ho trovato particolarmente coinvolgente in questo libro di filosofia: una disciplina che in tante sue codificazioni canoniche appare spesso lontana (Moravia lo rileva più volte) dagli interessi di un'umanità divorata, oggi come ieri, dagli assilli del quotidiano e torturata, nei casi migliori, dalle roventi interrogazioni sul significato della vita individuale e delle relazioni coll'Altro, della felicità e della sua struggente e sfuggente natura, dell'agire razionale e del sentire passionale, della molteplicità dei volti dell'io e della sua costitutiva (ma non necessariamente negativa) ambiguità, della complessità dell'esistere e della sua metamorfica collocazione nei contesti del mondo e nelle stagioni del tempo?
La prima risposta al quesito di cui sopra non può non sottolineare da un lato la consapevolezza con cui l'autore coglie precisamente" queste" domande - costituenti uno dei fondamenti essenziali del volume - e dall'altro la sua capacità di organizzare intorno ad esse una riflessione estremamente ricca di motivi originali e decisa ad andare fino alla radice di certi nodi psico-antropologici - non tanto per scioglierli, quanto per illuminarli e ripensarli in modo sempre molto sollecitante e persuasivo.
Certo, "L'enigma dell'esistenza" si differenzia considerevolmente, al di là di alcune ovvie analogie e continuità, dal precedente" L'enigma della mente" (Laterza, 1988; uno dei libri più importanti di Moravia, tradotto anche negli Stati Uniti) sia nei suoi aspetti espressivi sia nei suoi aspetti tematici; ed è l'autore stesso a suggerirlo con chiarezza: il nuovo libro "abbandona un'esposizione sistematicamente analitica, costruita attraverso continui confronti con posizioni altrui". Inoltre in esso si registra contemporaneamente un* congedo" e una" svolta": "Il congedo è quello dall'analisi del mentale" an sich", o meglio dal mentalismo; la svolta vorrebbe orientare lo studioso verso l'analisi dell'uomo - dell''uomo-persona'".
Qual è la ragione d'essere di questo passaggio da uno sguardo psicofisico a uno sguardo antropologico? La risposta si trova già nelle pagine introduttive al volume: "Lo scopo non è di negare il rilievo centrale della corporeità o di certe vicende endopsichiche: è invece di analizzare l'esperienza cosiddetta mentale in una prospettiva che includa tutte le componenti e le sollecitazioni senza le quali essa resta qualcosa di astratto - poco più di un "experimentum crucis"". È proprio nella prospettiva aperta da questa dichiarazione programmatica che procede buona parte del discorso di Moravia.
I contenuti del libro sono molteplici: vanno da tematiche più propriamente teoretico-epistemologiche (la questione del realismo e degli universali nelle scienze umane, i fondamenti della comunicazione, l'affascinante motivo del "punto di vista soggettivo") a tematiche di natura psicoantropologica e sociale, nelle quali peraltro non viene mai meno il taglio del filosofo abituato a esaminare tutti gli aspetti rilevanti del mondo e a diradare le opacità che sovente oscurano i veri problemi per farne riemergere da ultimo il nocciolo propriamente umano. La capacità di Moravia di trasformare gli interrogativi in apparenza più rarefatti in questioni esistenziali, in domande mai retoriche sul senso della vita e del modo d'essere e di agire di chi la vive è ulteriormente valorizzata dal suo stile espressivo: uno stile, come si è accennato all'inizio, estremamente denso e purtuttavia limpido, che brucia ogni possibile durezza speculativa nel fuoco di una volontà comunicativa felicemente realizzata. Anche per queste ragioni di chiarezza espositiva è potuto accadere che un libro di filosofia sia stato letto da me psichiatra con un'intensa partecipazione ai suoi molteplici argomenti e proposte teoriche.
Non è ovviamente possibile analizzare qui i contenuti dei singoli capitoli. Essi hanno spesso una diversa intonazione: ora rigorosamente teoretica, ora espressa nei linguaggi dell'"esprit de finesse" pascoliano, ora emergente da un confronto serrato con le esperienze di altri autori, filosofi e non filosofi, vicini e lontani.
Fra le pagine che più mi hanno colpito non posso non citare quelle sulle connessioni tra filosofia ed esperienza vissuta (che rifiutano in modo assai persuasivo ogni discorso deprivato dalle proprie matrici soggettive), quelle, di grande attualità, sulla presenza-assenza dell'uomo e dei valori nell'età del weberiano "disincanto", quelle che confrontano l'esistenza con la complessità, con l'ambiguità, con la passione e con la felicità.
Nel capitolo (in particolare) incentrato sull'"Homo persona" e su quella che Moravia considera un'ineludibile svolta dalla "scienza della mente" all'"ermeneutica dell'esistenza", si leggono pagine che ritengo fondamentali sul passaggio appunto dalla "psico-logia" all'"antropo-logia": cioè da un sapere incentrato sulla" mente" a un sapere incentrato sull'"uomo"; e, ancora, sulla rivalutazione fenomenologico-ermeneutica della nozione di" persona". In questo ambito Moravia sottolinea assai bene come l'esistenza diviene una figura decisiva nella riflessione filosofico-psicologica contemporanea, nella misura in cui essa include non solo il" soggetto-persona" ma anche la" relazione" dialettica fra il soggetto medesimo e il proprio contesto interpersonale (ambientale).
È anche sviluppando questi temi che Moravia giunge poi a elaborare considerazioni molto rilevanti sulla ragione d'essere della medicina e della psichiatria. Sono fra le pagine più degne di nota del libro quelle nelle quali egli tematizza il senso profondo dell'essere-medico e dell'essere-psichiatra. Immedesimandosi nel modo di agire di quanti si prendono cura dell'umanità sofferente, Moravia scrive tra l'altro: "Una volta che ho definito una persona 'depressa', il mio lavoro è ancora agli inizi: io dovrò aggiungere nella cartella clinica di quale depressione si tratta e, soprattutto, come specificamente quella persona autopercepisce, vive, soffre il suo stato". In ogni dolore - aggiunge giustamente Moravia - c'è sempre una storia" privata" che si ribella a ogni "generalizzazione" e a ogni classificazione nosografica. Del resto, proprio nella decifrazione del" senso particolare" della sofferenza si deve cogliere il compito primario dell'ermeneutica impegnata nell'universo del dolore. (Certo," solo "se la psichiatria si muove lungo i sentieri dell'esistenza interiore disturbata essa è in grado di realizzare i suoi programmi terapeutico-emancipativi; ed è molto bello che sia un filosofo del livello di Sergio Moravia a dirlo con tanta fermezza a noi psichiatri).
Non potrei chiudere queste mie riflessioni su" L'enigma dell'esistenza" senza ricordare il capitolo originale e profondo sul" tempo" (contenente anche un'acuta interpretazione di alcuni motivi della" Recherche" proustiana).Nel definire il tempo come linguaggio Moravia scrive: "Il tempo come linguaggio non parla tanto della temporalità in sé e per sé, cioè non parla tanto (come parrebbe) di" se medesimo": parla, invece," dell'uomo"" e "del suo molteplice rapportarsi alle cose e agli eventi, a se stesso e agli altri uomini, alla vita e al suo divenire, al problema del 'da dove' e del 'verso dove' (ammesso, beninteso, che questi 'dove' ci siano), e" perché"". È in rapporto a questi (e ad altri) presupposti che il tempo può essere suggestivamente considerato da Moravia come una" Grande Interpretazione", o come una" Grande Narrazione", attraverso le quali l'essere umano cerca di situarsi con maggiore consapevolezza in relazione al mondo e all'inquietante dinamismo temporale.
Questo (in ogni caso) è un libro che, al di là del suo confrontarsi con la complessità, e l'ambiguità, dell'esistenza e con la realtà del dolore e della sofferenza, è anzitutto segnato da una profonda passione per la riflessione e da un'altrettanta profonda speranza nella vita. Vorrei invitare tutti a leggerlo.
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