Bologna era in festa per la sconfitta del Re svevo e il carroccio metteva allegria per il bottino reale: Enzio, il figlio di Federico II, era finito bottino dei Bolognesi. Tutti esultavano lungo il percorso fatto fare al prezioso prigioniero e già sfoggiavano il vestito a festa. «Terminava la sì decorosa entrata il pretore lieto e giulivo, un bel palafreno bianco cavalcando, rivestito di porpora, onorato da' suoni, e canti. La moltitudine del popolo fuor di città uscito per esser a parte di tanta festa, la non si può ridire, prendendo tutti oggetto, e di stupore, e di allegrezza. Fissavano gli occhi in ispezie sopra il Re Enzo, il quale d'anni intorno a' venticinque, bello della persona, tutti attirava a sè i riguardanti». I suoi capelli biondi lunghi quasi fin a cintola, e il complesso tutto della di lui corporatura alta e gioconda, muovevano ancora a tenerezza, e pietà. La cosa «compassionò alcuni, come nelle disgrazie intervenir suole, in ispezie i bolognesi dolcissimi e gentilissimi, tanta sua disgrazia. Tanto è vero, che anche ne' nimici la sfortuna di persone di merito muove a compassione». Bologna era diventata il simbolo della libertà per i Guelfi di tutte le nazioni. «Può ognuno immaginarli quanto andò per le lingue tutte di Europa la sorte felicissima di Bologna, non potendo che recare stupore, come una sola città giunta fosse a tal altezza di fortuna e gloria. Egli è questo il tanto strepitoso avvenimento alquanto diversamente narrato da Matteo Paris, volendo che Enzo unito a cremonesi e reggiani scorresse i confini de bolognesi a loro danno, onde questi posti in agguato, mentr'egli incautamente n'andava, al Ponte di S.Ambrogio l'attaccassero, che fatto prigione con incirca ducento soldati e molti reggiani, e cremonesi fosse con essi condotto a Bologna, dove all'arbitrio de loro nimici crudelmente assai essendo trattati per ottenere qualche alleviamento, diedero diciottomila lire imperiali. Sia quei ch'egli vuole, certo è non potersi ciò accordare per quello Enzo riguarda, note essendo le tante spese, con principesca liberalità, fatte dal Comune per trattarlo da suo pari».43 Al Re, insomma, non sarebbe mancato il necessario e fu vera neppure la storiella allegorica che era stato tradotto in una vera e propria gabbia. Bologna e Modena, città confinanti, «quando l'Italia tutta era in fazioni divisa, di contrario partito, ebbero insieme in varj tempi pertinacissime guerre».44 Certo è che stupiscono il fatto che sia toccato ai Bolognesi far prigioniero Re Enzo, quando la guerra era fatta da collegati, e principalmente voluta dai Bresciani. Biancardi riporta Manfredi per figlio naturale avuto da Bianca, madre di cinque spuri, tra i quali anche Enzo, perché pare che il nascituro abbia visto la luce nell'anno in cui Federico fu sposo di Jolanta o Beatrice, e quindi non già di Bianca. Fatto è che al piccolo fu mutato il nome di Arrigo in Enzio, alla tedesca, dovendolo distinguere dall'altro suo fratello già chiamato Enrico. Raffaello Morghen, nel corfermare essere stato un figlio naturale, dice che «non sappiamo l'anno della sua nascita, né il nome della madre, che solo in fonti tarde è identificata con Bianca Lancia dei conti di Monferrato». In effetti, incalza Don Celestino, «nulla sappiamo della di lui fanciullezza, né con qual maniera allevato». È il giovane erede degli Hohenstaufen, confuso con l'omonimo fratello Enrico, quello che morì a Bologna nel 1272, seguito dalla disfatta del Regno di Gallura. Per tutti, sebbene prigioniero, fu sempre il biondo Re di Sardegna, l'unico sovrano di quelle regioni che aveva abbandonato nelle mani della moglie.
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