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Il solito genio! Riesce a dare ad ogni lettore la possibilità di interpretare in modo diverso la surrealtà che le sue opere ci propongono. In questo caso il racconto è meno fluido, più nervoso ed inquieto rispetto a “La schiuma dei giorni”; a metà libro, Vian abbandona la “solita” leggerezza del surreale (forse meno trasognata che in altre situazioni) e spinge l’acceleratore verso il suo vero obiettivo: la dimensione spigolosa e problematica delle relazioni sociali, soprattutto tra uomo e donna. La parte finale (nella quale giganteggia la scena della lotta senza scampo di Lazzuli contro il nemico immaginario che si moltiplica e la successiva razionale rassegnazione della sua compagna, con il fulmine che svolge un ruolo “quasi” catartico) è di una durezza che fa tanto riflettere quanto soffrire. Comunque un ARTISTA al maiuscolo e nel senso più completo del termine!!
Un altro capolavoro surreale di Vian. Per certi versi l'ho trovato silisticamente superiore persino a "La schiuma dei giorni". Tratti di profonda poesia, descrizioni suggestive che immergono il lettore in un altrove dai colori distorti, nomi improbabili, vicende tragiche ed eroiche, perennemente sospese tra realtà ed immaginazione. Da leggere.
Una scrittura, quella di Vian, che dà sempre per scontati alcuni passaggi, così che il lettore deve ripercorrerli da solo in una prova che è, al contempo, una aperta sfida con la quale l’autore gli ricorda che non è stato lui a fargli ficcare il naso nel romanzo, e che se, per avventura, è anche uno scansafatiche, mal l’incolga. È la prima impressione che si prova venendo a contatto con questo narratore che visse i pochi anni della sua esistenza accanto alla musica, l’altro suo grande amore. Si ha a che fare con quattro personaggi che stanno provando su di una strana macchina a motore che “aveva l’aspetto filiforme di una ragnatela vista da lontano” qualche loro ingegnosa invenzione “per eliminare totalmente le difficoltà risultanti dalla superproduzione di metallo da costruzione per macchine” (ma la funzione di quella macchina, vedrete, sarà tutt’altra): Wolf, il suo aiutante Zaffir Lazzuli, e le rispettive compagne, Lil e Follaprile. C’è anche la sensazione tra loro che “un uomo li seguisse per spiarli.”, la cui presenza va infittendosi a mano a mano che si procede nel racconto. L’ambiente in cui si muovono nell’area del “Quadrato”, dove lavorano, è costituito da un viale di mattoni e dall’erba rossa. Un colore caldo che si ritrova sparso un po’ dovunque nel libro. Tutto si muove come in una proiezione di diapositive, con scatti e pause che ne segnano il ritmo, e sono i non sensi a far scattare molto spesso il passaggio. In storie come questa di Vian, ha poca importanza rintracciare e identificare una trama, giacché tutto viene lasciato alla spontaneità della immaginazione e gli stessi dialoghi che nascono tra i personaggi subiscono la suggestione dell’estemporaneità. Ciò non impedisce, tuttavia, di caricare di significato gli improvvisi e frenetici paradossi che si susseguono copiosamente, i quali sono portatori, infatti, di un’ironia distruttiva contro tutto ciò che di normale e di ovvio, e di “inutile”, si trova intorno a noi, che ha delusi e stancati i nostri protagonisti, specialmente Wolf e Lazzuli: ”
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