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Di questi Esami, andati in scena nel dicembre 1973, scriveva all’epoca del debutto Franco Quadri: “… vorrebbero occupare un posto a parte nell’ultima produzione di Eduardo, sia perché riassumono un collage delle sue tematiche più tipiche, sia per il metaforico distendersi a coprire l’arco della vita di un uomo. Guglielmo Speranza, il protagonista, è il simbolo di un’umanità sognatrice e illusa, destinata a scontrarsi con gli inganni della vita e a soccombere. Questa sconfitta si esprimerà in un estremo rifiuto della parola e della comunicazione… Al funerale, vedremo Speranza apparire ancora vivo, in piedi tra i portatori della sua immaginaria bara, agitandosi come un triste giullare; perché non può morire il concetto che in lui si incarna”.
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Guglielmo Speranza anche dopo la laurea, acquisita a pieni voti, è ancora costretto a sostenere un numero infinito di esami che giorno dopo giorno, anno dopo anno, il vivere quotidiano, le situazioni, le persone care e non, lo sottopongono... Riuscirà a sopravvire sotto il peso e la pressione della legge del vivere civile?? Quale sarà l'ultima "Speranza" per sfuggire al continuo giudizio altrui?? La Morte? Eppure anche quando finiranno i suoi giorni il "Tribunale Celeste" giudicherà il suo operato... dunque quando finiranno gli esami per Speranza??
I tre tempi di una vita scanditi in tre barbe finte che di volta in volta il protagonista cambia in una aperta conversazione col pubblico. E' un buon uomo, un po' sognatore, un po' incompreso (nonostante abbia fatto una buona carriera), e ogni legame intorno a lui lentamente si disfa in una continua serie di accuse, affronti, disinteresse per tutto ciò che egli sente e prova a proporre. Una voce che attraversa cinquant'anni di racconto e che un giorno smetterà di parlare, tanto il chiasso sterile e i pregiudizi buffoneschi che la circondano sono asfissianti e miseri, imponendo essi il vero dettato di ogni condotta familiare e sociale. La morale è chiara: quanto siamo guidati dagli altri? In che misura tutto questo è giusto? Quanto perdiamo di noi stessi sottostando a crismi e a formule che in realtà detestiamo? Nulla, dentro questa sordità sempre più incalzante, trova in lui la bontà di un vero appiglio, sincero, credibile, neanche la verità di un amore semplice nel quale egli ha pure investito il suo cuore fino in fondo. Alla fine Guglielmo avrà solo una reazione al suo arco, l'unica, la cifra più feroce e calma insieme, la definitiva: il silenzio. L'irreplicabile che abbatte ogni soffio, due deserti, uno di fronte all'altro, a sigillare l'incomunicabile che preme da dentro; grettezza altrui e verità sensibile propria. De Filippo ride anche molto, gioca con taglio ironico sui paradossi e le follie della vita, un certo riguardo (che caspita) che pur va mantenuto, le convenzioni tremende da onorare in certa borghesia, e l'invenzione dell'ammutirsi come risposta a questo mondo orrido è una trovata a dir poco magnifica. Una domenica di teatro in televisione ad ammirare quest'opera me l'ha poi fatta risfogliare nei suoi passaggi su testo. Il dialetto arriva incisivo in tutta la sua pregnanza, i dialoghi sono terribili nel loro castello di grande falsità. E' una prigionia quella del protagonista, un'esistenza schiacciata dagli altri. Ma l'esame è superato, a pieni voti.
conosciamo il protagonista attraverso le svariate vicessitudini di tutto l'arco della sua vita (dal giorno della sua laurea al giorno della sua morte). se ne deduce che nella nostra vita umana siamo continuamente sotto l'esame altrui con ogni pretesto. ho trovato il testo letterario magnifico nella semplice verità che ci insegna senza far pesare. peccato però non poterlo ancora vedere recitare dal grande Eduardo stesso!
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