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L'esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili - Francesco Berto - copertina
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L'esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili
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L'esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili - Francesco Berto - copertina

Descrizione


Le storie di Sir Arthur Conan Doyle parlano del detective Sherlock Holmes, e II signore degli anelli di Tolkien parla di Gandalf. Naturalmente, Doyle e Tolkien non ci dicono mai che Holmes e Gandalf non esistono e, nelle storie che li descrivono, il detective e lo stregone hanno l'aria di essere molto, molto esistenti: affrontano avventure, rischiano la propria vita e alla fine hanno successo sui malvagi avversari; tutte cose che difficilmente un oggetto inesistente potrebbe fare, visto che, appunto, non esiste. Ma a non esistere non sono solo le cose che popolano il mondo letterario. Molte altre cose, pur essendo esistite in passato, ora non esistono più: Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Napoleone, George Washington, Michael Jackson, tutti i nostri cari estinti. E tutti loro, pur non esistendo più alla data di oggi, conservano ancora la qualifica di oggetti: sono, oggi che non esistono, portatori di proprietà, e rendono vere certe affermazioni. Il problema delle cose che non esistono è strettamente intrecciato col problema del senso del verbo 'esiste', e di altre espressioni connesse con la questione di cosa stiamo dicendo quando facciamo affermazioni come: "Vulcano non esiste", "Nettuno esiste", o di cosa voglia dire l'espressione "c'è" in frasi come: "C'è un cerchio quadrato sulla mia t-shirt" o "Laura non c'è". Questo libro vuole mostrare che l'esistenza non è affatto una faccenda puramente logica.
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Dettagli

2010
4 marzo 2010
XXIV-283 p., Brossura
9788842092421

Valutazioni e recensioni

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alberto pierobon
Recensioni: 4/5

Si parla di oggetti esistenti e inesistenti che non sono solo finzionali. Intuizioni e misurazioni. Siamo avvolti dal parmeneidismo del tutto esiste, nei nostri riferimenti intenzionali e relazionali (anche con le proprietà degli oggetti inesistenti). Esiste solo nelle nostre idee il cerchio quadrato e Sherlock Holmes? La logica cambridgiana rafforza taluni errori nei paradossi della teoria degli insiemi. Wittgenstein ricordava che «per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo, dunque, poter pensare quel che pensare non si può?». L’esistenza ha a che fare con l’entrare in relazioni causali. Possiamo parlare di cose che non esistono e la regola pragmatica è che ciò che è detto va interpretato nel modo appropriato. Intuitivamente noi specifichiamo un oggetto attraverso un certo pacchetto di proprietà o caratteristiche: dovrebbe valere a priori? Per K. Walton «le proposizioni vere in modo fittizio, o finzionali, sono proposizioni che, in un dato contesto sociale, vanno immaginate come vere» per cui alcune ascrizioni di proprietà ad oggetti finzionali sembrano essere vere nel mondo reale. Sono pensati ed esistono nella rappresentazione (es. Babbo Natale)? Pensiamo a una qualche dipendenza ontologica degli oggetti inesistenti in questione grazie al sostegno ontologico mondano, dove questi oggetti possono avere proprietà ulteriori. Libro difficile per chi non ha svolto un corso di logica. Rimane interessante l'argomento e il suo svolgimento, anche se talvolta affatica il lettore non competente. Vi «sono gap nei valori di verità (enunciati né veri né falsi) anche in mondi possibili. Le cose inesistenti manifestano una struttura metafisica nteressante e ricca. Non sono come la notte di Hegel in cui tutte le vacche sono nere». Non è una conclusione,semmai l'esortazione a continuare questi studi che non sono così astratti e lontani dalla nostra esistenza.

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Andrea
Recensioni: 5/5
Esempio di grande filosofia

Libro magnifico. Berto riesce a rendere anche l'ontologia eccitante. Anche le parti più tecniche sono comprensibili per chi ha solo delle basi in logica formale. Non comprendo sinceramente l'altra recensione, la quale asserisce che il libro sia "vuoto", è in verità estremamente ricco. Forse l'autore dell'altra recensione ritiene che il libro sia vuoto, dato che Priest, il filosofo che recentemente ha difeso la visione sostenuta da Berto nel libro, afferma che ci siano contraddizioni vere, dialtheia (in realtà rimanendo coerente seppure non consistente, almeno secondo Priest stesso, ma questa è un'altra storia). Berto non sostiene ciò (penso), è anche uno dei pochi filosofi che cerca di argomentare seriamente contro tale visione, (la gran parte si rifiuta dicendo che è impossibile fare ciò, dal momento che i dieltheisti accettano la verità di alcune contraddizioni) chiamata dialtheismo, scrivendo per esempio un bel paper pubblicato nel 2014, in cui definisce una contraddizione assoluta non accettabile come vera nemmeno per i dieltheisti. Infatti Berto dimostra nel libro, anche a livello formale, che si può sostenere il Meinonghianismo modale rimanendo consistenti, non riesco a comprendere le ragioni per definire questo libro vuoto. La recensione mi pare invece vuota, è una sentenza priva di argomenti a sostegno di essa. Il libro potrebbe anche funzionare benissimo come un'introduzione all'ontologia meno ortodossa delle solite per studenti del liceo o senza basi di filosofia teoretica, visto che riesce a presentare fedelmente anche posizioni antitetiche alla sua (se qualcuno volesse ottenere una visione più globale sarebbe meglio leggersi Ontology and Metaontology: A Contemporary Guide sempre di Berto ma in questo caso con Matteo Plebani).

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Recensione
Recensioni: 1/5

Libro abbastanza sconclusionato. Berto ha una conoscenza della materia sicuramente valida, ma quale proposta o senso compiuto ha il recupero di Meinong? Forse il libro vuole essere volutamente vuoto e senza senso ammettendo tutto ed il contrario di tutto? Allora chiunque sappia mettere insieme due parole e conosca una materia puo' scrivere. A Berto un consiglio: e' un valido studioso ma si dedichi alle cose serie. Ha iniziato bene con Hegel e Severino, riprenda quella strada invece di andare in discesa libera.

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Voce della critica

Il dibattito dei primi del Novecento sulla natura dell'esistenza tra Bertrand Russell e Alexius Meinong, illustre rappresentante della corrente fenomenologica, viene giustamente considerato uno dei momenti fondanti del movimento analitico che adesso si divide la scena filosofica con la cosiddetta scuola continentale. Il problema chiave del dibattito è vecchio almeno quanto Parmenide, percorre tutta la storia della filosofia e costituisce l'affascinante tema di questo bel libro di un giovane ma già affermato studioso attualmente in forza all'Università di Aberdeen in Scozia.
Ecco in sintesi il problema: appare sensato dire che non vi è niente al di là di ciò esiste, eppure parliamo, anche con verità, del non esistente, o almeno così sembra. Per esempio, quando affermiamo che c'è chi crede al mostro di Lochness, anche se questo non esiste. Meinong sosteneva che affermazioni del genere devono indurci ad ammettere che in un qualche senso "ci sono" oggetti inesistenti, possibili quali il mostro di Lochness o addirittura impossibili come il quadrato rotondo. Russell, però, da un lato rilevò alcune contraddizioni nell'approccio di Meinong e dall'altro escogitò un'elaborata teoria semantico-ontologica, secondo la quale le affermazioni in questione sono parafrasabili in modo tale da mostrare che solo apparentemente vertono su oggetti inesistenti. Per esempio, quando diciamo che il mostro di Lochness non esiste, stiamo semplicemente dicendo, grosso modo, che la proprietà di essere un mostro che dimora a Lochness non è esemplificata da alcun individuo (contrariamente, per esempio, alla proprietà di essere un pianeta abitato del sistema solare). Russell venne considerato dagli analitici il chiaro vincitore del dibattito e la teoria del suo rivale dichiarata morta e sepolta.
Tuttavia negli anni settanta un gruppo di analitici "neo-meinonghiani", fra i quali spiccano Richard Routley, Hector-Neri Castañeda, Terence Parsons ed Edward Zalta, ha riaperto la questione, evidenziando varie difficoltà nel punto di vista di Russell e rendendo più rigorosa la posizione di Meinong. Graham Priest (Towards non-being, Clarendon, 2005) si è aggiunto di recente alle file dei neo-meinonghiani con una nuova proposta nella quale gli oggetti inesistenti di Meinong, pur non esistendo nel nostro mondo, esistono in mondi meramente possibili, o addirittura impossibili.
Berto ricostruisce il dibattito Meinong-Russell e presenta le critiche a Russell dei neo-meinonghiani. Passa poi alle loro proposte teoriche, in particolare quelle di Parsons, Zalta e soprattutto Priest, schierandosi a favore di quest'ultimo, anche con nuovi e interessanti argomenti riguardanti gli oggetti della finzione letteraria, quali Sherlock Holmes e Pinocchio.
Le argomentazioni di Berto sono ricche e ben strutturate. Rimango però convinto che un approccio russelliano, appropriatamente riveduto e corretto, è in grado di rispondere alle critiche neo-meinonghiane, per esempio ricorrendo ai "concetti denotanti" del primo Russell, laddove i meinonghiani ricorrono a oggetti inesistenti, nel modo suggerito a partire dai primi anni ottanta da Cocchiarella. Questa linea neo-russelliana, che ho difeso nel mio Ulisse, il quadrato rotondo e l'attuale re di Francia (Ets, 2002), purtroppo non viene presa in considerazione da Berto. Inoltre, provando a mettermi in una prospettiva neo-meinonghiana, non credo che la teoria di Priest, con il suo problematico impegno a mondi possibili e impossibili, sia preferibile a quelle di Castañeda e Parsons, che di questo possono fare a meno. Ma spiegare nei dettagli le ragioni di queste perplessità porterebbe verso questioni tecniche che non possono trovare spazio nei confini di questa nota.
Nel discutere le tappe salienti del dibattito Meinong-Russell e le posizioni di Parsons e Zalta, il libro di Berto si sovrappone al mio. Questa scelta è stata presumibilmente dettata dall'intento di costruire una monografia per quanto possibile autonoma e comprensibile anche ai non addetti ai lavori e agli studenti di filosofia ancora alle prime armi. Quest'obiettivo è stato centrato, pur con qualche limite. Per esempio, l'originale posizione di Castañeda avrebbe meritato almeno qualche riga, e alcuni paradossi con cui le teorie neo-meinonghiane hanno dovuto fare i conti, come quello di Clark, andavano almeno menzionati. Inoltre, ci sono alcune espressioni tecniche che forse sarebbe stato meglio spiegare (come "mio singoletto" per insieme con soltanto me stesso come membro) e molti termini inglesi e inglesismi evitabili e un po' fastidiosi (come "vindicated", "account" e "affetta" – da "to affect" – usato nel senso di "affligge"). Nel complesso, però, lo stile di Berto è limpido e disinvolto e la lettura scorre piacevolmente.
I disaccordi filosofici sono spesso meno radicali di quello che possono sembrare a prima vista, perché poggiano su una larga base condivisa. Quelli che mi dividono da Berto sono proprio di questo tipo. Infatti, sia nella contesa tra neo-russelliani e neo-meinonghiani che in quella interna a questi ultimi si presuppone un'impalcatura logico-concettuale comune, tipica della comunità analitica, che Berto degnamente rappresenta. Concludo quindi raccomandando caldamente questo libro sia agli studiosi di filosofia che a chiunque si senta sollecitato dal perenne e venerabile problema del contrasto tra essere e non essere.
Francesco Orilia

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