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I ritratti più complessi e sfumati che Anselmi disegna nel suo ultimo libro sono quello dell'umanista quattrocentesco Galeotto Marzio ("Un'erudizione sterminata, una personalità vulcanica e accattivante, i mille interessi, una schiettezza spesso incontenibile e un gusto tutto particolare per la battuta arguta") e quello dell'amatissimo Machiavelli ("la enorme potenzialità liberatoria di energie umane individuata (
) nel terreno 'duro' della politica"). Alla curiositas del primo corrisponde in certo modo la "saggezza" del secondo, poiché sono appunto questi i fondamenti della letteratura moderna.
Da un lato una ricerca "induttiva e laica", "tracimata da imprevedibili sentieri" e capace di scavalcare ogni rigida frontiera linguistica o disciplinare, la costante curiosità verso i fenomeni e le cose che si trasforma a ogni istante in pratica, governo o controllo del mondo: è lo scatto originario dell'Umanesimo, quell'energia e quella sfida perennemente sperimentale che fanno del Quattrocento italiano uno dei secoli più affascinanti della storia culturale europea. Dall'altro lato un viaggio o "apprendistato di saggezza" che organizza il sapere entro un'etica rinnovata, "con tutto il portato utopico (
) e paideutico che essa impone": un apprendistato al tempo stesso "antropologico" e "istituzionale", che lega insieme scrittura letteraria e riflessione storica, lo studio del passato a un percorso propriamente politico verso il "mondo dei fini", sotto il segno del "buon governo", di una civilitas e humanitas da affidare alle generazioni future.
È questa l'eredità, sono queste le "radici" che dall'Italia rinascimentale giungono all'Europa moderna e rendono possibile una parola come ricerca della verità nella dialettica dei conflitti: parola come dialogo e molteplicità, come ricchezza di sfumature e capacità di "guardare, dialettizzandole, alle ragioni dell'altro". È una lezione di "disciplinamento laico" che culmina nel Cinquecento con Castiglione, Guicciardini e appunto Machiavelli, ma che già Petrarca aveva genialmente proposto entro un orizzonte largo, prefigurando l'irradiamento del modello italiano nella cultura europea dei secoli successivi, fino alla grande stagione barocca. Si capisce allora perché l'autore insista a più riprese sull'idea braudeliana di "secolo lungo" che stringe in una continuità cronologica e "contiguità" generazionale l'arco che "dalla metà del Quattrocento si protrae fino agli anni Trenta del Seicento". La modernità nasce proprio da questa "lunga durata" che corrisponde anche a uno spazio geografico largo, proiettandosi sulle più innovative riflessioni storiografiche degli anni a venire.
È significativo che il discorso introduttivo di Anselmi si chiuda idealmente sul nome di Giambattista Vico, modello supremo di uno scrivere che è narrazione storiografica, proposta ermeneutica e insieme meditazione sul tempo: il Rinascimento come nucleo profondo del moderno possiede infatti una smisurata capacità d'apertura, giunge a sfiorare con il suo molteplice ventaglio la grande avventura "del romanzo storico, e più in generale della passione narrativa connessa alla storia". Curiosità e saggezza, disciplinamento e utopia, sono ancora un proponibile modello nei percorsi di formazione del futuro.
Rinaldo Rinaldi
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