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Che cos'è l'Europa, per Lucien Febvre? Che cosa rappresenta questo «continente» agli occhi del grande storico francese, nei mesi in cui si chiude il sipario dell'ultima e più distruttiva guerra europea (e perciò stesso mondiale)? Nelle pagine che vedono qui per la prima volta la luce (il testo inedito di un corso al Collège de France nel 1944-45), l'eco degli accadimenti nutre la rivisitazione dello storico. Il fatto è che l'idea di Europa sembra accamparsi sotto la bandiera di una inafferrabile vaghezza: «Un ideale, un sogno. Una estensione di territori estensibili a non finire». Fuori dalla storia, l'Europa, semplicemente non esiste.Ma allora, quando nasce l'Europa? Essa è figlia della disgregazione dell'unità mediterranea, ellenica e romana. Solo quando l'Impero romano crolla si danno le condizioni perché si possa cominciare ad aggregare una civiltà europea. Ma questa nuova realtà nasce da una grande mutilazione. L'Islam irrompe nel vecchio mondo greco-romano disgregandolo. Ed è contro l'Islam che nasce la costruzione carolingia, atto costitutivo dell'Europa in idea. Parte integrante di quest'idea fu, all'inizio, l'espansione di una cristianità concepita come il vero elemento unificante.Quel passaggio da un mondo mediterraneo a un mondo in cui il centro di gravità si sposta a nord ha determinato poi uno "slancio europeo" che è stato soprattutto uno slancio economico. Scorrono così sotto gli occhi dello storico le successive incarnazioni europee. Europa, equilibrio di potenze. Europa, patria delle élites intellettuali del XVIII secolo. E, dopo la Rivoluzione, Europa nemica delle nazioni. Europa, infine, rimedio disperato dopo la catastrofe della grande guerra. L'Europa, insomma, non è una cosa semplice, non si incide bell'e pronta, sopra una tabula rasa. «Ciascuna parte d'Europa ha dietro di sé una terribile storia "contro". Perciò l'idea di un dominatore che sottometta tutto l'Universo, è una idea vana. E, bisogna aggiungere, sanguinaria». Lo spettro del dittatore appena sconfitto domina le ultime pagine del libro. Febvre recalcitra all'idea di una unificazione europea. Non sono ancora maturi gli anni del rinnovato progetto europeista.A distanza di cinquant'anni è oggi possibile misurare l'enorme tratto di strada che l'Europa storica ha compiuto. Ma il testo di Febvre rimane un monito contro i facili entusiasmi europeisti. L'Europa può espandersi solo a patto di non prevaricare le altre civiltà: quelle che la compongono e quelle che ha di fronte.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Questo testo, da me utilizzato per la preparazione di un esame universitario, può essere tranquillamente consigliato a chi, per diletto, voglia approcciarsi allo studio e alla storia dell'Europa per come la propone lo storico francese. Con sguardo oggettivo (non scevro tuttavia da considerazioni personali) si ripercorre la storia di come sia nato il concetto di Europa, in un intreccio tra epoche e autori.
Recensioni
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recensioni di Carpanetto, D. L'Indice del 2000, n. 07
"L'Europa è un concetto sorpassato - o una necessità vitale per il progresso del mondo?". Non era affatto di circostanza questa domanda che si poneva Lucien Febvre nell'atto di presentare il corso di storia al Collège de France per l'anno 1944-45, iniziato pochi giorni dopo la liberazione di Parigi. In quei momenti il tormentato epilogo della guerra si consumava nel dolore personale: "A uno a uno i reduci ricompaiono: ma molti mancano all'appello. In particolare M. B. [Marc Bloch]. Che peccato! Penuria d'uomini spaventosa", scriveva il 15 novembre del '44 in un biglietto forzatamente laconico all'allievo Fernand Braudel, che era detenuto a Lubecca. Il concetto d'Europa richiamava allora alla mente più un'idealità drammaticamente sconfitta che non il luminoso progetto di una civiltà di uomini liberi appartenuto alla tradizione democratica e illuminista della cultura occidentale. Peggio ancora: appariva, come ricorda Marc Ferro nella postfazione, un riferimento proibito perché connesso con l'ideologia collaborazionista della "Nouvelle Europe" franco-hitleriana di Pierre Laval. Insomma, la realtà delle circostanze sfidava il nucleo forte dell'idea democratica d'Europa, che Febvre trovava magistralmente fissata in un passo di Montesquieu: "Se venissi a sapere qualcosa che fosse utile alla mia famiglia, e non lo fosse alla mia Patria, cercherei di dimenticarla. Se venissi a sapere qualcosa che fosse utile alla mia Patria e fosse pregiudizievole per l'Europa - o che fosse utile per l'Europa ma pregiudizievole per il genere umano - la guarderei come un delitto".
Non poteva né voleva essere un'ordinata storia positiva dell'Europa: Febvre aveva in mente un disegno più ambizioso, affrontare il concetto depurandolo di miti e di falsificazioni per passarlo al vaglio di quelle stesse categorie che lo avevano sino ad allora orientato nella sua ricerca, tutte inscritte nell'idea-cornice di civiltà, termine, questo, che mostrava le sue proficue ambivalenze. Quello che la guerra aveva demolito andava ricostruito: ossia la nozione di Europa come patria della libertà, l'"Europa rifugio che tanto è servita da alibi, nell'ultimo mezzo secolo, agli uomini stanchi di conflitti e di rivalità nazionali". Occorreva tornare all'amico e maestro Henri Pirenne, alla sua storia d'Europa anch'essa concepita e scritta in condizioni speciali, al confino in Turingia durante il primo conflitto; occorreva appellarsi all'arte retorica di Michelet, per trarre le energie con cui porgere all'uditorio in qui giorni difficili una lezione etica ancor più che storiografica. Le venticinque lezioni al Collège nel 1944-45 offrirono a Febvre l'opportunità di riflettere in forma più distesa su un tema a lui caro, già indicato come progetto editoriale nel 1925 per la collana di Henri Berr. Del corso al Collège, che Febvre lasciò in una versione manoscritta e incompiuta su cui pensava di ritornare per trasformarlo presumibilmente in opera a stampa (come fece per le lezioni su Margherita di Navarra del 1940-41), Thérèse Charmasson ha curato un'edizione critica ora depositata presso le Archives Nationales di Parigi: di quest'ultima il testo, pubblicato a cura della stessa Charmasson e di Brigitte Mazon, offre al pubblico una versione alleggerita e corredata di note bibliografiche che completano quelle abbozzate da Febvre.
(D.C.
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