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Anno edizione: 2017
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Scrollando a caso nella filter bubble che mi sono costruito a suon di click e like, qualche tempo fa mi è capitato sotto il naso l’articolo di una testata online inglese. Si intitolava tipo “Ha ancora senso parlare di indie?” e nell’immagine del link svettava il faccione bonario di Win Butler e dei suoi compagni, gli Arcade Fire.
Non ho cliccato perche´ la risposta la conosciamo tutti, ed e`: “Passaparola” o “Chiedo l’aiuto da casa”, o qualsiasi altra formula avrebbe dato un concorrente di Gerry Scotti a una domanda in se´ poco chiara. Per “indie” intendiamo l’approccio indi- pendente alla discografia, oppure il codice estetico che ne e` derivato, quello fatto di produzioni e testi “sfigati”, fatti apposta per sembrare piu` ironici verso le altre band, quelle serie? Perche´ in entrambi i casi i canadesi non c’entrano piu` niente da un bel po’.
Allora ecco che la scelta di uno dei gruppi piu` popolari dell’era di Internet per illustrare l’articolo si rivela nella sua vera natura: portare click facili. Sfruttare proprio loro che nel 2011 sono stati baciati dalla Dea dei server e dei cavi ethernet rimbalzando da sito a sito, da forum a forum, fino a beccarsi un Grammy e un Brit Award.
«Ciao telecamera! Noi siamo gli Arcade Fire, cercateci su Google!», aveva detto Butler – mente e nucleo centrale della band, insieme alla moglie Re´gine Chassagne – con in mano il Brit per il Best International Album strappato a un Eminem e una Katy Perry increduli. Gabbati da dei perfetti sconosciuti e da un album, The Suburbs, che non aveva niente da spartire con gli altri in gara, con tutti quei cori e le chitarrine nostalgiche.
E` stato il disco della fama, quello si`, ma anche lo spartiacque fra album piu` coesi (poco pop) e grosse raccolte di singoli radiofonici. Insomma, se The Suburbs e` stato il primo tuffo lontano dall’indie (Wikipedia li tiene ancora li` dentro), Everything Now ha definitivamente reso carta straccia quel fascicolo.
Recensione di Claudio Biazzetti
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