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La particolarità di questo giallo risiede indiscutibilmente nel sapere già da subito chi è l'assassino. Ragion per cui, il lettore non deve perder sonno nello scervellarsi nel tentativo di cogliere un passo falso, un banale errore o una meccanica disattenzione che possano scoprire l'oscura trama omicida, perchè è già tutto e subito sotto i suoi occhi. La capacità di Simenon di analizzare gli individui, di entrare nella loro psiche qui raggiunge vertici straordinari e se la maggior parte dell’attenzione è riservata al serial killer, anche per gli altri personaggi c’è un interesse rilevante per il loro comportamento, per i fantasmi che agitano la loro mente. E' difficile non restare affascinati da questo romanzo, avvincente pagina dopo pagina
“I fantasmi del cappellaio” si svolge in una piccola e sonnacchiosa cittadina francese, sconvolta dai ripetuti femminicidi di un misterioso serial killer che si accanisce contro donne anziane. In un completo ribaltamento dei pattern della letteratura poliziesca, il lettore conosce fin dalle prime pagine l’identità del serial killer, un agiato proprietario di una cappelleria, e dell’uomo che probabilmente lo ha scoperto ma esita a denunciarlo, un umile sarto di origini armene. I due mettono in piedi un classico gioco fra gatto e topo, ove però la parte del gatto la fa l’omicida, forte della sua agiatezza e rispettabilità, mentre il povero sarto, schiacciato dalla sua umiltà e dalla sua mancanza di integrazione nel tessuto borghese della cittadina, si muove con paura e circospezione. Ma le sicurezze del cappellaio poco a poco si incrinano, e il gatto diventa topo, accerchiato da schiere di immaginari gatti. Simenon ci restituisce un bel ritratto psicologico del serial killer, del suo retroterra, di ciò che l’ha portato a compiere questi delitti, e della sua psicologia autoassolutoria. Ma ci offre anche un impietoso ritratto della agiata borghesia del dopoguerra, del suo classismo, e, soprattutto, del suo maschilismo; una borghesia in cui gli uomini conducono tranquille esistenze, condite da bonarie partite a carte al bar con gli amici e frequentazioni di prostitute, e per i quali le donne sono al più custodi del focolare, cameriere, o, appunto, prostitute.
Grande Simenon. Ho letto solo 3 libri di questo scrittore ma devo dire che mi sta entusiasmando. Ne " I fantasmi del cappellaio" troviamo il cappellaio, uomo benestante e signorile che nasconde un terribile segreto poi condiviso con il sarto, uomo umile ed emarginato. Novembre e Dicembre, i mesi più corti e tristi dell'anno, il buio,la pioggia, il freddo e soprattutto la paura sono ingredienti che riescono ad allontanare il lettore dalla realtà del presente e a trascinarlo nella piccola cittadina dove si svolgono i fatti come spettatore invisibile , ma nello stesso tempo emotivamente partecipe.Nella prima parte del libro notiamo come la follia del signor Labbe si mascheri dietro quel suo atteggiamento di superiorità, quell'attenersi scrupolosamente al suo piano criminale elaborato con grande lucidità per poi degenerare nel finale, tanto da accogliere con sollievo il suo arresto.
Recensioni
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scheda di Bertini, M., L'Indice 1997, n.10
Spesso i romanzi più riusciti di Simenon destano nel lettore un'impressione di fatalità legata ai luoghi descritti: nei colori, negli odori, nelle luci di certe strade, di certi appartamenti, di certe ville, il romanziere sembra leggere con assoluta certezza l'incombere di un dramma ancora ignoto agli stessi protagonisti, eppure già scritto nella vita silenziosa ed eloquentissima delle cose.È l'eredità della grande descrizione balzachiana, svuotata di ogni esplicativa pesantezza, e trasformata dal padre di Maigret in una sorta di magia suggestiva che sa valersi di pochi tocchi minimali per mettere in moto la macchina del racconto.Pochi testi esemplificano questo aspetto dell'arte di Simenon meglio de "I fantasmi del cappellaio". Nel gelido e piovoso inverno di una cittadina del Nord della Francia, La Rochelle, si fronteggiano, separati da un'angusta viuzza, due vecchi edifici: in uno ha casa e bottega un tetro cappellaio, che vive accanto alla moglie invalida la vita più abitudinaria che si possa immaginare; nell'altro, un piccolo sarto armeno si affanna giorno e notte per assicurare la problematica sopravvivenza della sua numerosa famiglia. Nell'unico momento di svago delle loro monotone giornate, i due si ritrovano ancora, involontariamente, l'uno di fronte all'altro: entrambi si lasciano attirare, la sera tardi, dal maggior caffè della cittadina, le cui luci brillano isolate al centro di un labirinto di vetuste stradine dai portici bui e dal selciato sempre lustro di gelida umidità.
Nessuno dei due ha motivo di interessarsi dell'altro; ma, al tempo stesso, data la vicinanza costante, nessuno dei due può ignorar nulla della vita dell'altro. La puzza di unto che accompagna a ogni passo il piccolo sarto perseguita il cappellaio; le ombre che si profilano dietro le tende del cappellaio ossessionano, giorno dopo giorno, il piccolo sarto. Quando la cittadina è scossa da una serie di oscuri delitti, si profila la possibilità che ogni abitante nasconda un terribile segreto; soltanto il cappellaio e il sarto non possono reciprocamente nascondersi nulla, e la loro casuale simbiosi si trasforma, forzatamente, in duello mortale. Uno dei due è colpevole, e l'altro non può essere che il suo giudice e il suo nemico. A questo punto la vicenda precipita verso un tragico finale, che si impone al lettore come inevitabile svolgimento dei dati iniziali del racconto. Eppure tale inevitabilità è contraddetta dall'appendice - curata da Sandro Volpe - di questo bel volume adelphiano: altri due finali - non meno plausibili di quello adottato - furono messi a punto da Simenon con lo stesso implacabile rigore. Rigore apparente, o reale? L'illusione della necessità è in ogni caso, per il lettore, perfetta.
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