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Philip Roth nella prefazione scrive che "Le figlie degli altri" per gli anni '70 americani ha la stessa valenza del "Grande Gatsby" per gli anni 20 e "Furore" per i 30 (...vado a memoria). Come non essere d'accordo con mastro Philip? In effetti questo romanzo è anche la fotografia di un'epoca; però i tormenti morali e i sentimenti dei personaggi, specialmente quelli del protagonista, un quarantenne professore che lascia moglie e figli per imbarcarsi in una nuovo amore per una giovane studentessa, sono senza tempo, tanto da essere gli stessi che possiamo trovare in "Anna Karenina" o in molti romanzi dello stesso Roth ...o nella vita di tutti noi. Perciò penso di poter dire che certamente l'opera si inserisce in quella serie di gioielli dimenticati che periodicamente vengono ritrovati nello scrigno della narrativa nordamericana del novecento che ci rendono un'immagine per c.d. "dal di dentro" di un dato momento storico orami alle spalle, e, contemporaneamente, si distaccano dal contingente per divenire una meditazione senza tempo attorno a questioni altrettanto senza tempo perché comuni a tutti gli esseri umani dalla notte dei tempi.
Prosa meravigliosa, immaginifica ed originale, evidentemente anche ottimamente tradotta. Storia di una crisi di un essere umano che diventa o origina da una crisi di coppia. Non una storia originale e forse neppure la Sonata a Kreutzer, ma "quasi": non vi sembri poco!
La cifra stilistica dell'autore è un linguaggio altamente strutturato ma non supponente, assai denso ma non barocco, colto ma non stucchevole, e che rende estremamente piacevole la lettura e tiene sempre desta l'attenzione. Ciò che mi lascia perplessa nel romanzo sono i personaggi femminili, psicologicamente appena sbozzati e poco credibili , se non addirittura contraddittori. Resta comunque un libro da leggere.
Recensioni
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