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Per Amos Oz ha senso parlare di realismo in scrittura, e in questi tempi ansiosi di pirotecniche possono essere messi in ombra i suoi luoghi e i suoi personaggi, come la famiglia separata in casa in apertura di romanzo, con i suoi dettagli inclementi: la statuine intagliata, il poster al muro e le bambole nella camera della figlia utilizzata dal padre, lo studio per la moglie ricavato nella casa del vicino, la inesorabilità dei quartieri di Gerusalemme con suoi giornali radio a ripetizione, eppure lentamente la scrittura di Oz ti invade, e il suo mondo diventa il tuo, ti convoca e tu non puoi proprio disertare.
L’eroe del romanzo, Efraim (Fima) goffo, balordo, confusionario ma anche visionario, è a metà strada tra i protagonisti del Berretto a Sonagli di Pirandello (il buffone) e di La Versione di Barney di Richler. Non è più il ragazzino Uriel che nel Monte del Cattivo Consiglio sognava di cacciare gl’Inglesi e gli arabi dai territori della Palestina. Ora cresciuto, a 54 anni, si accorge che gli Ebrei hanno ridotto in schiavitù i poveri palestinesi e denuncia apertamente questi soprusi con dure parole: “noi siamo i cosacchi e loro, gli arabi, le vittime del pogrom”; “gli arabi dei territori sono le nostre bestie da soma”; “devono continuare fino alla fine dei tempi a pulirci in silenzio i gabinetti”?; “li facciamo fuori giorno dopo giorno, loro e i loro bambini … solo perché hanno la sfrontatezza di non essere riconoscenti per il grande onore toccatogli, quello di pulire le fogne del popolo eletto in attesa dell’arrivo de Messia”. Questa è forse la parte nobile che riscatta l’intero romanzo, assieme a perle disseminate, descrittive del paesaggio gerosolimitano. Per il resto, è di ben difficile lettura, perché impregnato di divagazioni senza fine e più che ripetitive. Parafrasando lo stesso Oz, Efraim rivela “la logorrea sperperata e la menzogna sotto le quali è sepolta la sua vita”. Di nuovo, citando Oz, il racconto si potrebbe così catalogare: “sgocciola via, giorno dopo giorno, tra bollitori bruciati e scarafaggi morti” senza contare l’esagerato numero di volte in cui Fima s’ingozza di fette di pane nero e marmellata. Ed eccelsi voli pindarici: “cominciò a schiacciarsi le pustoline … lo spappolamento di quei minuscoli ascessi e lo schizzo di grasso giallastro gli provocarono un lieve godimento”. Grandioso! Bisogna navigare sotto costa per impedire che il nostro burchiello naufraghi miseramente … per la noia, ovviamente. Solo un grande navigatore come Colombo potrebbe giungere all’approdo di fine lettura.
Per mantenere un metro di giudizio equo, ai libri di Oz tolgo in partenza una “palla”, come dovessi gareggiare con Bolton e lui mi concede venti metri di vantaggio (ma pure cinquanta va’), e cerco di scovare difetti o note stonate che mi permettano, alla fine, di emettere il giudizio massimo. Ma con Fima è una partita persa, è tra i suoi romanzi più riusciti, tanto lirico quanto equilibrato, un personaggio indimenticabile.
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