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Anno edizione: 1999
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Non è un romanzo, bensì un atto coraggioso di denuncia sociale. Alla luce anche dei fatti dell'11 settembre, andrebbe letto per riflettere e capire. Una grande autrice in nome di una moltitudine purtroppo senza voce. Il secondo articolo, quello sulla bomba, è più scorrevole del primo e, perchè no, ha validità in India ed in Pakistan così come in Italia.
Recensioni
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«Certo l'India ha fatto progressi, ma la maggior parte dei suoi abitanti no. I nostri capi dicono che dobbiamo avere missili nucleari per proteggerci dalla minaccia della Cina e del Pakistan. Ma chi ci proteggerà da noi stessi?»
Cosa significa per centinaia di migliaia di persone essere allontanate a forza dal proprio paese d'origine, obbligate a migrare verso città e paesi lontani, abitati già da troppi uomini e donne che non li aspettano e non li accolgono certo bene? Cosa significa perdere tutti i propri seppur modesti beni, la propria casa e non avere nulla in cambio? Si può certo immaginare la tragedia che si cela dietro questo fenomeno. Eppure è il governo indiano che organizza queste migrazioni di massa, per costruire dighe sempre più grandi, sempre più forti e sempre più economicamente utili. Arundhati Roy, l'autrice dello splendido romanzo Il dio delle piccole cose, ha scoperto questa triste, drammatica realtà e ha scelto di non tacere, anche di fronte a uno scempio naturalistico di immani proporzioni. Ed è nato il primo saggio contenuto nel volume: Per il bene comune. Tanti i prezzi da pagare per questi territori estesissimi ricoperti dalle acque, ma quali saranno i vantaggi? Il progresso, il bene comune, l'interesse del paese? La Roy risponde no. E poi, 50 milioni di persone trasferite nei bassifondi delle città a vivere una vita senza futuro e senza umanità non può significare il "bene della nazione". La scrittrice individua anche alcuni responsabili dello scempio, tra cui la Banca Mondiale, alcuni Consulenti Internazionali per l'Ambiente, politici, burocrati e imprese costruttrici. Uno scenario che si ripete in molti altri paesi del Terzo Mondo, mentre il Primo Mondo si rifiuta ormai da tempo di costruire Grandi Dighe "che riducono la terra a un deserto, provocano inondazioni, saturazione e salinizzazione del terreno, e diffusione di malattie... non sono nemmeno riuscite a svolgere il ruolo di monumento alla Civiltà Moderna, di emblema del dominio dell'Uomo sulla Natura". Un esempio di fallimento per tutti: la diga di Bargi, vicino a Jabalpur, che irriga solo il 5 per cento della terra che i progettisti avevano previsto. Non si può parlare di "sviluppo costruttivo", ma unicamente di "sviluppo distruttivo". E anche di ribellione, perché, come la Roy ci racconta, non sempre le popolazioni hanno subito senza lottare il destino della migrazione, dello sradicamento. Tanti sono gli episodi di rivolta, di organizzazione contro il potere. E sia che si voglia la diga, sia che la si odi è bene che si conosca il prezzo che si paga per averla. Così come si deve conoscere il costo che l'umanità paga per avere l'armamento nucleare, altro tema di grande importanza per la nazione indiana degli ultimi anni, sia in politica interna che nelle relazioni internazionali con i paesi confinanti, Pakistan in testa. Nel secondo saggio raccolto nel volume, Un mondo senza immaginazione, la Roy affronta questo argomento con grande fervore. E riguardo gli esperimenti nucleari che hanno portato l'India (un miliardo di persone, di cui 400 milioni analfabeti e nullatenenti, 600 milioni senza servizi igienici di base e 200 milioni privi di acqua potabile...) a possedere anch'essa la bomba atomica nel 1998, scrive: "Ancora una volta siamo penosamente in ritardo, non solo sul piano scientifico e tecnologico (ignorate le vacue proteste), ma, cosa più pertinente, nella capacità di cogliere la vera natura delle armi nucleari. Il nostro Reparto Comprensione dell'Orrore è disperatamente antiquato". Un grido rivolto all'umanità, alle altre nazioni, alla speranza di un futuro migliore. Davvero le armi nucleari sono un "deterrente", uno strumento per la pace e non per la guerra? E la proliferazione nucleare di paesi fino adesso estranei al problema, sarà un bene per l'umanità? La scrittrice ne dubita molto, e come darle torto? Specie poi se anche intellettuali stimati si schierano a favore della bomba come momento di riscatto nazionale, di forza, di orgoglio... Allora cosa sarà in futuro? "Se rifiutarsi di farsi impiantare una bomba nucleare nel cervello è anti-indù e antinazionale, - scrive - allora dichiaro la secessione. Mi proclamo una repubblica indipendente a ambulante. Sono una cittadina della Terra. Non possiedo territori."
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