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Chiara Saccavini, botanica e ricercatrice, esce dai “binari” del suo stile formale e didattico per immergere la sua protagonista in una natura primitiva e selvaggia che non conosceva.Il personaggio della storia, infatti, è una donna “calpestata” dal grigiore di una vita dedicata alla stesura di noiosi manuali d’uso di elettrodomestici e apparecchiature che rendono tutto molto comodo, e che sente che è arrivato il momento di cambiare, di vivere.Di imparare a vivere senza chiedersi perché, dice.Una vera iniziazione la aspetta: vedere il tramonto, respirare a pieni polmoni l’aria salutare della foresta, danzare come un derviscio nella natura lussureggiante, percepire il verde in ogni sua sfumatura. Sono prove che riesce a superare brillantemente, non solo perché si scopre innamorata di ciò che sta facendo, ma anche perché è guidata da maestri che le indicano il valore e l’importanza della Natura, a riconoscere le parole che aveva letto in passato che solo adesso acquistano peso e rilievo. È’ come un’illuminazione, anzi… è proprio la Luce che emerge dal racconto intimistico di Chiara che invade gli spazi della pagina e dell’immaginario del lettore.Si comprende il simbolico passaggio della vita passata (che va dimenticata, che a volte provoca vergogna) a quella nuova che è frutto di una ricerca dentro di sé, verso una presa di coscienza che tardava ad arrivare.È quasi una svolta adolescenziale, come se la protagonista fosse rimasta una brava ragazza da sempre, e non avesse mai provato i tumulti dell’età giovanile. Come se da bambina modello, fosse diventata un’adulta imbalsamata nel senso del dovere, circoscritta dentro giardini metallici di grattacieli e di fontane artificiali. La donna si svincola con gioia da ciò che la teneva imprigionata e calpestata, e sceglie come metafora la piantaggine, umile piantina spontanea, che è continuamente schiacciata dai piedi dai passeggiatori di campi, ignari che la piantaggine si risolleva sempre dalle avversità.
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