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Giunge opportuno questo volumetto ricco di informazioni e precisazioni indispensabili, ma se la cultura non è soltanto umanistica (p. 7) a volte (come per il diamante di cui alle pp. 61-62) la scienza troppo "dura" tanto scalfisce quanto si spezza. E' giusto, nel nome di un dovuto rispetto per l'attività scientifica e per i suoi codici, schierarsi con sdegno contro ignoranza, luoghi comuni e paretimologie, ma occorrono altrettanta misura e umiltà per non scivolare involontariamente dalla parte del nemico. Lasciano perciò perplessi il proposito di promuovere un uso corretto dell'italiano e, se non lo scrivere "qual è" con un dibattuto apostrofo (p. 32), il mantenere "Antico Testamento" con iniziali minuscole (p. 97, e ogni clemenza per eventuali refusi cade se veniamo paternalisticamente invitati a diffidare del computer "buon servitore, ma cattivo padrone" proprio a questo riguardo, p. 102), così come il vezzo di apostrofare articoli e preposizioni articolate e al contempo il parlare disinvoltamente di "cento euri" (p. 89). Se, inoltre, ci si concentra sulle discipline scientifiche "stricto sensu" (p. 7), perché sconfinare nella Linguistica (che per quanto umanistica è una scienza anch'essa) e trattare i grafemi come foni (p. 19), avallare pregiudizi culturali quali l'idea che una lingua sia "assai meno ricca e armoniosa" di un'altra (p. 75) e ignorare che una stupefacente risorsa della lingua (che la rende "ricca e armoniosa", appunto) è il cosiddetto "parlar figurato" per iperboli, metonimie e traslati? Il tutto lamentando ad ogni pagina l'insipienza, la pigrizia intellettuale e la scarsa documentazione dello stereotipato "uomo della strada" e dei sedicenti professionisti della comunicazione. La divulgazione, forse, preferirebbe a un ribadimento continuo e poco "diplomatico" dell'impreparazione dei lettori un po' di autoironica consapevolezza che se la verità è tale solo fino a prova contraria (p. 121) e il "rischio zero" è un'utopia (p. 111) nessuno è immune da errori.
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