"Il fantasma dell'isteria aleggia sul teatro e sulla danza del Novecento". A partire da questo curioso incipit Roberto Giambrone sviluppa un saggio eccentrico e affascinante, che mischia teatro e storia della follia, scienze sociali e teoria della performance. La tesi di fondo è che l'isteria classica, quella "inventata", secondo il più volte citato Georges Didi-Huberman, da Jean-Martin Charcot con la complicità delle sue pazienti nella clinica della Salpêtrière alla fine dell'Ottocento, sia stata "convertita" in una pletora di performance teatrali dalla gestualità esplosiva, nervosa, violenta, che hanno invaso i palcoscenici del teatro e della danza del Novecento. La suggestiva tesi è che le crisi isteriche, dietro alle quali si celava il desiderio disperato di comunicare un disagio inesprimibile con le parole, si siano trasformate in linguaggio teatrale quando il contesto medico e sociale ha permesso al disagio stesso di esprimersi in nuovi scenari pubblici, anche perché Freud, allievo di Charcot, aveva cominciato a trasformare l'enigmatica fisicità delle pazienti in discorso verbale. Se fino a un certo momento le isteriche (ma non manca una casistica maschile) potevano solo agitarsi nelle corsie degli ospedali per richiamare l'attenzione e per sfogare l'energia e il dolore repressi, i mutati costumi sociali e soprattutto il lavoro delle pioniere della danza moderna (Isadora Duncan, Loie Fuller e Mary Wigman) avevano indicato la via per sublimare l'inconscio, per dare sfogo all'inesprimibile, al dolore, al desiderio represso. Quando i palcoscenici della danza cominciano a offrire questa possibilità, insieme ad altri fenomeni più stravaganti e popolari, dall'ipnotismo alla rinascita del mesmerismo, l'isteria scompare progressivamente dalle corsie degli ospedali, mentre tutto il teatro del Novecento si fa carico dell'elaborazione di una crisi ancora in fieri. Dall'Ausdruckstanz al Tanztheater, dalla body art ai più recenti fenomeni del teatro gestuale, la scena novecentesca è allo stesso tempo specchio e terapia della crisi. Secondo l'autore, che porta l'esempio di artisti contemporanei come Alain Platel e Jan Fabre, Pina Bausch, Sasha Waltz, Pippo Del Bono ed Emma Dante tra gli altri, la scena isterica è in piena attività. Essendo il teatro, come tutte le forme d'arte, uno specchio dei tempi, esso esprime un disagio e una crisi profonda nella misura in cui è la società stessa a essere malata e in crisi. E però la funzione del teatro è anche catartica, per cui, attraverso l'elaborazione di questa crisi, il teatro può aspirare a una guarigione, o almeno al ritrovamento di un equilibrio. Tutto il teatro del Novecento, che ruota intorno alla figura simbolica di Antonin Artaud, consisterebbe nella ricerca di un ordine nel caos della follia. Per quanto breve, il saggio di Giambrone, arricchito da un'appendice iconografica, è pieno di riferimenti e citazioni che incrociano saperi e pensieri diversi, non ultima la biopolitica di Foucault, applicata al dispositivo teatrale laddove impone regole e precetti. La libertà del performer, conclude l'autore, passa dalla sottomissione a un duro training. L'esempio più estremo e più nobile è quello del funambolo, il quale "si sottomette coscientemente e lucidamente alla disciplina che ne legittima la veridicità e allo stesso tempo ne garantisce la vita: se non accettasse la disciplina il funambolo morirebbe". Anna Banfi
Leggi di più
Leggi di meno