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recensione di Coveri, L., L'Indice 1997, n.10
(recensione pubblicata per l'edizione del 1997)
L'Italia, si sa, è il paese dei cento campanili. E dei cento dialetti.I quali, nonostante l'inesorabile declino (o meglio: trasformazione) cui sono stati soggetti specialmente dagli anni sessanta in avanti (oggi i dialettofoni, secondo le inchieste Doxa e Istat, non dovrebbero superare un terzo della popolazione), continuano a rappresentare un formidabile patrimonio storico, culturale, espressivo che fa della penisola un "unicum" in Europa. E la questione dialettale è diventata scottante da quando il dialetto viene usato (in maniera il più delle volte strampalata) come supporto di rivendicazioni etniciste. È curioso che a questa centralità (e quasi moda: pensiamo al dialetto dei cantautori e delle "posse" rap, al dialetto in varie forme di spettacolo, al fiorire di una sofisticata poesia "neodialettale") non abbia mai corrisposto, nelle nostre università, un'adeguata copertura didattica (gli insegnamenti di dialettologia italiana, stretti tra i vasi di ferro della glottologia e della storia della lingua italiana, si contano sulle dita di una mano: proprio nel paese che ha visto nascere la dialettologia "scientifica" nel 1873, con il grande Graziadio Isaia Ascoli!).
Ben venga dunque un nuovo manuale, a chiara destinazione universitaria, ma accessibile agli interessati e ai numerosi cultori, opera (collettiva: contrariamente alle abitudini accademiche, i singoli capitoli non vengono attribuiti a un autore, anche se la ricerca della paternità non è difficile per gli addetti ai lavori) di tre noti e valenti dialettologi (Corrado Grassi, ora emerito dell'Università di Vienna; Alberto Sobrero, dell'Università di Lecce; Tullio Telmon, dell'Università di Torino) appartenenti a quella "scuola di Torino" i cui cromosomi, nonostante la diaspora che l'ha interessata, sono riconducibili (e il volume lo conferma in pieno) al grande esempio di Benvenuto Terracini.
I "Fondamenti" sono organizzati con chiarezza in cinque capitoli. Il primo esamina i rapporti tra dialettologia italiana e dialettologia romanza, soffermandosi in particolare a illustrare la nozione stessa di "dialetto" (concetto nato in epoca rinascimentale con il consolidarsi di un modello scritto e letterario basato sul toscano).Contrariamente a quanto crede la gente comune, "dialetto" non è una parolaccia (si pensi a quante volte si è detto, e letto: "Il veneto - (il genovese, il torinese, il salentino... - "non* è un dialetto, è una lingua!"), ma una categoria linguisticamente "neutra", destinata semmai a essere distinta dalla lingua in base a criteri "esterni" (qui si esaminano quelli sociologico, dei "domini d'uso", stilistico, testuale).
Il secondo capitolo traccia "Cenni di storia della dialettologia italiana": problematico, giustamente addensato attorno all'Ascoli (e immediati dintorni: grande rilievo vi ha il "precursore" Biondelli), non sembra però possa sostituire, come rassegna diacronica di problemi e metodi, altri profili già disponibili per il lettore italiano (Cortelazzo, Coco, Benincà), ed è insoddisfacente specie per ciò che riguarda la dialettologia novecentesca (di cui però non mancano applicazioni "in vivo" nel quarto capitolo).
Il terzo capitolo è dedicato alla classica rassegna dei dialetti italiani (e delle minoranze etnolinguistiche), organizzata, dopo una discussione dei criteri di classificazione, secondo fenomeni linguistici e non a partire dalle aree dialettali quali si possono ricavare, per esempio, dalla grande "Carta dei dialetti italiani" di Giovan Battista Pellegrini: l'esperienza insegna che inseguire i fenomeni linguistici (soprattutto, come d'uso, fonetici) dal latino ai dialetti risulta didatticamente meno efficace: anche se poi la lettura di un paio di carte di atlanti linguistici dovrebbe agevolare il discente (e in genere numerosi e chiari sono gli esempi dialettali, sia pure con qualche, forse inevitabile, squilibrio a favore dell'area nord-occidentale).
Il quarto capitolo ("L'uso del dialetto in Italia: aspetti sociali e pragmatici") è decisamente il più nuovo, originale e brillante: e ci dà la misura di quanti progressi abbia fatto la dialettologia (e in particolare proprio la dialettologia italiana recente, azzeccato "mix" di tradizione storica e geografica e di aggiornamento socio-antropologico) rispetto al naturalismo ottocentesco. Qui si entra nel vivo degli usi, delle funzioni, delle valenze sociali - individuali e collettive - del fenomeno dialettale: i nodi più importanti riguardano le variabili dell'inchiesta dialettale di impostazione sociologica (ben più complessa di quella del passato, deve tener conto di età, sesso, livello socioeconomico, grado di istruzione, contesto e dominio d'uso; e il grande problema del campionamento è inserito in un quadro, tutto terraciniano, del rapporto problematico tra il "punto" d'inchiesta e l'area, tra l'individuo e la rete sociale in cui è immerso) e la pragmatica del dialetto (cioè il suo uso nell'agire sociale: l'analisi delle conversazioni, la definizione dello spazio, le telefonate).
Qui sorge il dubbio: in questa analisi di frontiera, quanto è ancora dialettologia, quanto analisi del parlato "tout court"? Ma forse la rottura dei confini tra lingua e dialetto è proprio un merito della dialettologia moderna, più attenta alla complessità idiomatica del parlante reale (di cui si illustrano, alla fine del capitolo, opinioni, atteggiamenti, pregiudizi, altrettanto significativi quanto i comportamenti linguistici concreti) che alla rigida definizione di strutture linguistiche.
Il quinto e ultimo capitolo (che sarà utilissimo nei seminari per i laureandi) illustra i ferri del mestiere: inchieste sul campo (qui si recuperano le lacune del capitolo storico), i vocabolari (si capisce che le predilezioni degli autori vadano agli atlanti, ma gli accenni al grande "Lessico etimologico italiano" di Max Pfister sono veramente troppo cursori), gli atlanti linguistici (con ottime carte esemplificative), le riviste scientifiche, le bibliografie. In appendice, un questionario-campione ed esempi di trascrizione fonetica. In conclusione: un viatico ben nutrito per la dialettologia (e il dialetto, o ciò che sarà il dialetto) alle soglie del Duemila.
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