«Sull'orlo di una guerra globale. Il 24 febbraio 2022 resterà una data bene impressa nei libri di scuola. È il giorno in cui la Federazione Russa ha avviato quella "operazione speciale" che si sarebbe dovuta concludere rapidamente con la sostanziale annessione dell'Ucraina. Nel 2014 la presa della Crimea riuscì facilmente. Il bis però non c'è stato. La reazione di Kiev e dell'occidente è stata ben diversa da quella che il Cremlino aveva immaginato. Si è entrati così in un conflitto militare imponente e costosissimo in termini di vite umane e sofferenze. Nel cuore dell'Europa. E proprio l'Ue si è trovata ad affrontare una crisi imprevista, per quanto fosse stata annunciata esplicitamente dall'alleato oltreoceano. Eppure, il Vecchio continente ha saputo reagire all'affronto di Putin. Nonostante tante diverse sfumature, il filo transatlantico ha retto bene. La guerra tuttavia non è finita, prosegue. L'Ucraina ha riconquistato molti territori che erano caduti nelle violente mani russe. Eppure Mosca non molla e continua a bombardare, letteralmente, senza alcun rispetto per la popolazione civile, anzi. Nonostante la brutalità del conflitto causato da un preciso aggressore che porta il nome di Vladimir Putin, la diplomazia non è tramontata e tesse la sua trama. L'arte del compromesso è l'unica che può portare a una pace duratura (non eterna, ma duratura). E non deve sorprendere che in campo ci siano attori che vanno dalla Santa Sede al direttore della Cia (già ambasciatore americano a Mosca). La questione evidentemente non è di trattare alle spalle dell'aggredito — il popolo ucraino — o di negoziare una resa. Al contrario, lo sforzo è di mettere la parola fine al martirio e creare condizioni di stabilità nell'area. Peraltro evitando che una Russia sconfitta diventi una grande base militare della Cina in Europa (guardare cosa già accade nell'Artico). Già, perché non ci sono solo Russia e Ucraina. Sullo sfondo c'è la competizione con Pechino e lo spettro di una guerra potenzialmente più larga innescata dal tentativo cinese di annettere Taiwan. Non è uno scenario fantasioso, per quanto sia un incubo. Ecco perché l'incontro fra Biden e Xi può essere salutato come un fatto positivo, così come la missione che nelle prossime settimane vedrà impegnato il segretario di Stato, Anthony Blinken. L'altro fronte "caldo" è certamente quello che vede protagonista l'Iran ora scosso dalle proteste di cui si sono rese estamplarmente protagoniste le donne. Qui, a differenza delle manifestazioni in Cina, l'occidente ha saputo prendere posizione. Giustamente. Basta però? È immaginabile un regime change? "Mai mettere limiti alla Divina provvidenza", suggerirebbe qualcuno. Però intanto occorre fare i conti con la realtà cercando di ottenere ragionevolmente i migliori risultati possibili per la popolazione iraniana e per la stabilità della regione. Ecco perché, se il ministro degli Esteri di Teheran viene a Roma per partecipare alla Conferenza Med, non dovrebbe vergognarsi. La diplomazia fa questo di mestiere e se abdica per imbracciare gli argomenti — anche legittimi — della politica commette un tradimento dei propri principi. Si vide pacem, para bellum. Ma nel mezzo mai dismettere la tela diplomatica. Bisogna riconoscere di essere sul baratro per saper fare un passo indietro. PS: Diplomazia non significa cedere sui propri valori o disconoscere la propria identità o quella degli avversari (talvolta persino nemici). È esattamente il contrario».
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