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Anno edizione: 2020
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Per molte settimane la pandemia da Coronavirus sembrava avere spazzato via la religione dalla scena pubblica. Ma, tra i problemi interni alla Chiesa e i problemi della società globale che si aprono nella stagione del "dopo virus", papa Bergoglio è passato all'offensiva.
L'irrompere, nel febbraio 2020, della Grande Catastrofe del nuovo Coronavirus ha messo a nudo l'effetto della secolarizzazione. Per la prima volta dopo secoli, la Chiesa in tempo di peste non è apparsa come protagonista. Niente templi affollati di fedeli, niente processioni, niente funerali, sparita l'immagine secolare del prete che solitario attraversa le strade colpite dal morbo portando sacramenti agli ammalati e conforto ai morenti. Sulla scena ha dominato la scienza, sugli schermi sono apparsi come punto di riferimento medici, esperti, infermieri e politici. Dopo un primo momento di smarrimento, papa Francesco ha reagito riconquistando la scena con la liturgia del 27 marzo e la Via Crucis del Venerdì santo. Due cerimonie straordinarie per impatto visivo e psicologico. Il vuoto fantasmagorico di piazza San Pietro è stato trasformato in uno spazio planetario in cui il papa ha riaffermato il valore della fede come portatrice di speranza, alimento di solidarietà – trasmettendo la visione di un Dio che, proprio perché vicino alle vittime e all'umanità piagata dal morbo, sollecita il giudizio e la responsabilità di ciascuno nel decidere quale società ricostruire dopo il disastro. Perché c'è un "prima" e c'è un "dopo": bisogna partire dalla catastrofe per creare una società che superi le disuguaglianze, che difenda il sistema liberaldemocratico dai linguaggi e dagli atteggiamenti totalitari che lo minacciano. L'evento della pandemia è destinato a rimare impresso nella memoria dei contemporanei e – per la parte che gioca nella coscienza collettiva – il ruolo del papato avrà un impatto cruciale sulla scena nazionale e globale.
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