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Il futuro della scuola
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Descrizione


Sviluppo economico e occupazione sono destinati a dipendere, sempre più, dalla efficienza e dalla qualità del sistema formativo: alcuni tra i maggiori esperti della tematica individuano in questo volume precise direzioni di sviluppo per l'autonomia scolastica, l'impostazione dei corsi di studio, la formazione professionale.
Una proposta e un «manifesto» per accendere un dibattito che interessa le sorti di milioni di giovani e il futuro del nostro Paese.
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Dettagli

1995
29 settembre 1995
232 p.
9788842047551

Voce della critica

VAIRETTI, UMBERTO, Fare qualità nella scuola

ROMEI, PIERO, Autonomia e progettualità

NEGRO, GIUSEPPE, Qualità totale a scuola

FIORENTINI, CARLO (A CURA DI) / TOSELLI, SOFIA (A CURA DI), Se il futuro si gioca a scuola... a proposito di 'produttività, qualità, apprendimento'

BROCCA, BENIAMINO (A CURA DI), Il futuro della scuola
recensione di Bini, G., L'Indice 1996, n. 3

Termini e contenuti nuovi compaiono da qualche tempo nella pubblicistica sulla scuola, non più attinenti alla pedagogia o alle scienze dell'educazione, ma ad altre realtà, ad altri interessi culturali. Non siamo soltanto in presenza d'una contaminazione linguistica; è molto probabile che ai termini nuovi corrisponda una visione nuova della scuola, della sua natura se si può dir così, del suo ruolo sociale. Due tra i più frequenti sono i concetti di autonomia e di qualità (o qualità totale: come alla Toyota e alla Fiat?).
L'autonomia non è una novità assoluta. Beniamino Brocca, ex deputato e sottosegretario noto come presidente della commissione ministeriale che qualche anno fa elaborò i programmi didattici per il biennio secondario superiore, in una raccolta di saggi curata per Laterza, "Il futuro della scuola", ricorda che l'autonomia, ora prevista ufficialmente per tutta la scuola da una legge del 1993, era stata riconosciuta nel 1931 agli istituti tecnici, nel 1938 a quelli professionali e d'arte, poi se n'è parlato a proposito degli organi collegiali di gestione (1974), in vari progetti di riforma dell'amministrazione scolastica degli anni settanta e ottanta. Brocca omette di citare, forse perché ne ignora l'esistenza, il lavoro fatto dall'Adespi, associazione laica e democratica degli anni sessanta, di cui si ricorda un volume del 1961 contenente scritti di Ragghianti, Capitini, Manacorda, Laporta, Bertoni Jovine e altri, che rivendicava l'autonomia scolastica come difesa della libertà degl'insegnanti e degli alunni dagl'impacci della gestione centralistica e burocratica: come struttura portante della democrazia scolastica.
Il libro curato da Brocca riguarda però soprattutto la riforma della scuola secondaria superiore, il modello e la strategia da scegliere se mai la riforma si farà, e mette in primo piano il rapporto tra formazione scolastica (istruzione, educazione) e formazione professionale, esaminando alcune soluzioni europee, quelle degli Stati Uniti e del Giappone. La proposta che emerge è quella d'una via "duale", che mantenga un settore "scientifico" (liceale) e uno "tecnologico" posti sullo stesso piano di dignità culturale; uno degli autori suggerisce di denominare licei tutte le scuole per sottolineare questa uguaglianza. Si può osservare che l'idea non è nuova, risale infatti agli anni sessanta, e che l'altro progetto, degli anni settanta, di scuola unitaria collegata col sistema della formazione professionale ma intesa come sede di approfondimenti umanistici e scientifici in gran parte comuni, era e resta preferibile anche se oggi dovrebbe essere aggiornata. Ma le argomentazioni contenute nel volume forniscono stimoli e occasioni per riflettere, tra l'altro muovendo dal riconoscimento che allora ci si preoccupò quasi esclusivamente di aspetti strutturali e organizzativi e si trascurarono problemi pedagogici e didattici, come quello della difficoltà di apprendimento che avrebbero potuto incontrare gli alunni meno dotati di valide basi culturali e cognitive.
Su quest'ultimo aspetto interviene Walter Ghia in un libro curato dal Cidi e dalla Provincia di Firenze, "Se il futuro si gioca a scuola... a proposito di "produttività, qualità, apprendimento"". L'autore ritiene ineliminabile una "gerarchizzazione di fatto degli istituti scolastici" ma insiste anche sulla necessità che entro i sedici anni tutti possano apprendere alcune "abilità trasversali" soprattutto logico-linguistiche ed etico-sociali. Nello stesso volume Vittorio Capecchi, esaminando le politiche formative e l'organizzazione attuale del lavoro e della produzione, afferma che una formazione qualificata e il possesso di titoli di studio elevati servono per poter comprendere la realtà delle aziende in epoca post-tayloristica (nella quale per ogni lavoratore, anche di basso livello nella gerarchia aziendale, si pongono problemi di decisione autonoma) e per essere in grado di meglio "padroneggiare, con competenze trasversali, periodi di disoccupazione-studio-lavoro molto intrecciati".
Ma questi sono in un certo senso ancora libri tradizionali di pedagogia, problematiche educative, sociologia dell'educazione, politica scolastica. È il caso di vedere ora qualche testo nuovo.
Deciso nel respingere la "pervicace insistenza" sull'equazione impresa = industria e critico dei "miti" relativi all'istituzione scolastica (libertà d'insegnamento, insegnamento come arte, formazione della persona come compito della scuola, centralità dell'alunno, sottolineatura della coscienza come garante dell'impegno professionale e sociale dell'insegnante, la scuola come comunità sociale, lo "star bene" a scuola, il programma didattico, il "volontariato") Piero Romei, in "Autonomia e progettualità", fornisce un esempio significativo di come una sovrastruttura manageriale possa essere usata per travolgere il tradizionale discorso. Parla di decentramento, autonomia, scuola come microcosmo, dell'insegnar bene come compito e responsabilità degl'insegnanti, e ancora, di programmazione, curricolo, sperimentazione, ma parla anche di "rendicontabilità", loose coupling (legami deboli), output, outcome, e nell'insieme illustra il nuovo postulato che la scuola è un'impresa e va trattata come tale.
Sulla qualità ci intrattengono esaurientemente ed esibendo incrollabili certezze Giuseppe Negro ("Qualità totale a scuola") e Umberto Vairetti ("Fare qualità nella scuola") ciascuno fregiandosi d'una prefazione del ministro Lombardi, ambedue presentando almeno un grafico, una tabella, un diagramma per ogni pagina. E argomentando con grande calore sviluppano il concetto di scuola come servizio o impresa o azienda, che mette sul mercato un prodotto, si rivolge a clienti. Si citano precedenti risalendo a decisioni organizzative della Bell Telephon (1924), esempi di realizzazioni anche, purtroppo, delle scuole dell'infanzia comunali di Bologna. Si sostiene che occorre una "valutazione preventiva d'impatto", un deciso "orientamento al cliente", la competizione tra scuole. La qualità, si dice, va pensata, appresa, valutata secondo indicativi di efficacia e di efficienza e una ricerca accurata di "cause di difettosità".
I due volumi hanno l'aspetto di veri e propri manuali per riorganizzare la scuola come se davvero fosse o potesse diventare un'azienda che fornisce un prodotto a clienti, senza sostanziali differenze rispetto a una fabbrica, una rete televisiva, un supermercato, come se il problema riguardasse esclusivamente la gestione e l'organizzazione, la "managerialità" dei dirigenti, l'esatta divisione dei compiti e perciò delle responsabilità, la misurazione dei tempi, dei ritmi, della produttività, e non i contenuti, la cultura, la vita delle persone che in quella grande comunità sociale insegnano e studiano.
Una scuola così intesa non è pronta per la privatizzazione?

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