Il patrimonio culturale vive una stagione complessa. Irrigidito da etichette istituzionali (basti pensare al world heritage, in Italia romanticamente tradotto "patrimonio dell'umanità"), sfilacciato dall'ingresso del patrimonio intangibile, sperduto tra definizioni ambigue che includono infrastrutture di pregio, opere iconiche, reperti sopiti nei depositi e molti altri oggetti eterogenei ma certificati dalla convenzione. Tra i non pochi dilemmi che ne minacciano la stessa sopravvivenza, un ruolo di primo piano è occupato dalle questioni gestionali, tanto per l'indefinito territorio nel quale collidono conservazione e valorizzazione, quanto per il riflesso che queste controversie apparentemente accademiche finiscono per generare sulla sostenibilità finanziaria del patrimonio stesso. Dilemmi variegati e di eterogenea caratura, cui Luca Zan dedica questo libro che, con la collaborazione di un gruppo di ricerca da tempo sperimentato, mette a fuoco le contraddizioni del quadro italiano, e al tempo stesso le possibili soluzioni suggerite da alcune esperienze realizzate all'estero. Dedito da anni alla retorica del management, Zan invita le discipline ad abbattere i muri stagni che tuttora le separano, vuoi per pedanteria degli orti accademici, vuoi per incancrenimento concettuale e semantico; e vuole sostituire il problem solving, feticcio meccanico e miope, con un sano problem facing, più empirico e attento a mutamenti non sempre prevedibili. Tra politiche e pratiche si annidano alcuni importanti fraintendimenti. Anche qui è questione di retorica: principî, obiettivi, criterî e meccanismi sono spesso enunciati senza tenere conto di contraddizioni, conflitti e ragionamenti. Il rischio è che adottare comodamente un concetto generico ma appealing prevalga sull'imprescindibile lavoro di scavo e definizione che le politiche dovrebbero compiere per poter essere realizzate; non è un caso che negli ultimi anni sia emerso un filone di studi dedicato alla policy implementation. Il dipanarsi di questi percorsi, il cui incedere attraversa regole, vincoli, incentivi e divieti con i quali la gestione del patrimonio culturale deve fare i conti ogni giorno, è analizzato con riferimento a svariate esperienze, dai Cavalli e Carri Zhou al sito di Macchu Picchu, da Heritage Malta alla Penisola Storica di Istanbul. Tutte esperienze che possono fornire al legislatore italiano, ma anche ai gestori del patrimonio di casa nostra, indicazioni efficaci che permettano la necessaria e non più dilazionabile sintonizzazione tra la griglia normativa e la prassi gestionale che ne risulta comunque declinata. Ancor più incisiva della pur utilissima analisi delle esperienze straniere è la ricognizione critica dei casi italiani, che mostrano impietosamente i molti nervi scoperti di un sistema che continua a preferire l'enfasi sacrale all'empirismo incrementale Non si vuole dire che il patrimonio culturale italiano sia da considerare un malato terminale. Cronico forse, ma non ancora sulla soglie dell'estrema unzione. Il disordinato patchwork che descrive l'offerta culturale del nostro paese mostra anche esperienze positive, in cui azioni consapevolmente strategiche, o anche casualmente versatili, hanno potuto schiudere orientamenti gestionali chiari e lineari, liberando risorse e valori altrimenti atrofizzati. Ne è un esempio forte il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, che ha attraversato fasi istituzionali capaci di enfatizzarne progressivamente l'orientamento al mercato e la responsabilità gestionale. Non si è trattato di una dismissione istituzionale e pertanto finanziaria, ma di una morbida e intelligente rimodulazione delle aree di azione dell'amministrazione municipale e di una fondazione autentica, a mostrare in modo eloquente la necessità di deregolamentare, possibilmente attivando processi di drafting che perseguano la trasparenza e l'univocità delle norme; di costruire relazioni flessibili e adattive tra pubblica amministrazione e gestione del patrimonio culturale; di adottare una lettura non pregiudiziale del patrimonio culturale.
Michele Trimarchi
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