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Anno edizione: 2017
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bello e avvincente da leggere, per fortuna che c'è Vladimiro Bottone! Questo seguito di Vicaria ha un unico difetto, non è altrettanto avvincente, forse perchè conosciamo già la storia, gli intrighi, il carattere dei personaggi. Insomma mancano la sorpresa e l'incanto del primo libro. Comunque un gran buon testo che riconcilia con la letteratura. Da aspettare il seguito dato che sembra inconclusa la storia?
Recensioni
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È raro immedesimarsi a tal punto in uno scenario da riuscire a visualizzare distintamente i contorni dei luoghi, e sentirne gli odori con naturalezza, come accadrebbe se si facesse un salto nel passato e ci si lasciasse accogliere dalla Napoli dell’Ottocento. Il giardino degli inglesi è il medium ideale per un’esperienza sensoriale tanto umana e scontata quanto necessaria e urgente, soprattutto in un’epoca nella quale anche la percezione è a rischio d’inautenticità. Ma c’è qualcosa d’altro. Vladimiro Bottone ha deciso di giocare due carte importanti all’interno di questo romanzo: da una parte quella della versatilità, con una narrazione che è sia continuazione del precedente Vicaria (2015), sia dispositivo testuale in sé compiuto, dall’altra quella della mescidanza dei generi. Infatti, su una base di crudo realismo, dove non sembra esserci scampo al male, si innestano il noir dell’indagine poliziesca, che l’assommarsi di prove apparenti e false testimonianze rende sempre più intricata, e un tocco di feuilleton, grazie ai travagliati intrecci sentimentali, ai limiti dell’incestuoso. La Napoli raccontata da Bottone deve molto alla Londra dickensiana, con un plus di mistero e ambivalenza: mentre i protagonisti delle vicende occupano i due estremi della piramide sociale, i ricchi e i poveri, a loro volta rispettivamente scissi tra probi e disonesti, il deus ex machina (o che potrebbe essere tale) è un personaggio mediano – il commissario Gioacchino Fiorilli – acuto e razionale, determinato a far emergere la verità dal magma vischioso di prove discordanti, indizi occultati e testimonianze inascoltate. L’incertezza con cui Fiorilli procede nelle indagini, destreggiandosi con difficoltà nel labirinto dei fatti, il suo disorientamento, si riverberano a livello narrativo sulla struttura del romanzo, frammentata in brevissimi capitoli disposti in un ordine apparentemente agerarchico, inizialmente quasi indipendenti: ciascuno di essi segue le azioni di un personaggio o ne ripercorre le vicende passate, racconta un fatto o ne descrive le conseguenze senza considerare la vicenda nel complesso. Quando Fiorilli (e il lettore con lui) non sa più raccapezzarsi tra prove e contro-prove, ricorrere al proprio buon senso e alla propria sensibilità è l’unico modo per mediare tra due estremi: la resa di fronte alla malvagità più abietta e subdola, la lotta strenua e (forse) fine a se stessa della verità senza veli né riserve.
Recensione di Chiara Dalmasso.
Una Napoli diversa da quella che sono abituata a ricordare, diversa dalla Napoli chiassosa e colorata che siamo abituati a immaginare. La Napoli della metà dell’800, che fa da sfondo alla vicenda de Il giardino degli Inglesi è una città spesso silenziosa, lugubre e buia in cui si incontrano personaggi appartenenti a culture, paesi e ceti sociali molto diversi tra loro.
Vladimiro Bottone crea un intreccio complicato di rapporti a volte ambigui, alcuni di una tenerezza struggente, con i bambini in primo piano: vittime della povertà, dell’indifferenza, della cattiveria degli adulti che paiono ignorarli o usarli, ma non vedere la loro sofferenza. L’autore spazia così dalle ipocrisie e dalle perversioni della aristocrazia napoletana, agli intrighi del mondo accademico a cui fanno da contraltare i membri della borghesia vittoriana inglese che, per svariati motivi, il destino ha portato a convergere a Napoli, a diventare vittime e salvatori, a trovarsi legati a doppio filo ad una vita diversa e a trovare la felicità, la morte e l’amore così lontano dal loro mondo.
Una storia di egoismi e perversioni, miseria e redenzione, un affresco storico a tinte noir che immerge il lettore in un’atmosfera nebbiosa che ricorda quella londinese, descritta con un linguaggio delicato, che colpisce per la sua ricchezza: concreto, ma allo stesso tempo elegante, a tratti forbito, ma mai pomposo o eccessivamente desueto. A mio parere lo stile di per sé è già un ottimo motivo per leggere questo romanzo che fa venire voglia di leggere il precedente a chi come me, non lo ha ancora fatto.
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