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Dopo aver letto Kuraj, che mi è piaciuto ma sul quale ho espresso alcune riserve, sono passato al Giardino. Che mi pare migliore. E' un buon romanzo, ma gli manca quel colpo d'ala che te lo fa ricordare a distanza di anni.
che storia! raccolgo l'invito a leggere questo libro da una intervista radiofonica di una trasmissione intitolata "il posto delle parole" condotta da livio partiti. ho raccolto l'invito anche pressato dalla storia raccontata dall'autrice. e mi sono buttato. a finirlo in fretta. e poi passare a kuraj. sempre della stess a autrice. peccato non abbia altri titoli. lo consiglio senza tanti giri di parole.
Recensioni
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"A proposito di quei giorni, nel suo quaderno con la copertina nera c'è un'annotazione: "La vita è un giardino del luppolo dove ci arrampichiamo ognuno sulla sua pertica cercando di raggiungere la cima, finchè viene l'uomo con l'uncino a tirarci giù e a cogliere i fiori fragili della nostra esistenza".
Qualche riga più in basso Adolf aggiunge: "Ma io sono tra quelli che rimangono a metà della pertica".
Una storia vera, ma anche il romanzo di formazione di una generazione difficile, vissuta nel periodo tra le due guerre mondiali nella cattolica Baviera. Silvia Di Natale, genovese trasferita in Germania, dopo il successo internazionale del romanzo di esordio Kuraj ha affrontato con grande passione, in questo suo nuovo libro Il giardino del luppolo, un duplice percorso: ha radunato, con ricerche presso archivi, enti pubblici e privati, amici e parenti, una ricchissima documentazione sul nonno di suo marito, Adolf Kolmar, attorno alla vita del quale ha poi creato un romanzo di vasto respiro, che mette in luce il dramma vissuto in Germania da chi vedeva crescere e dilagare la popolarità di Hitler e le infamie del nazismo senza potervi porre freno, anzi sentendosi a poco a poco estraneo alla propria patria, se non addirittura perseguitato. Il senso di colpa è la chiave interpretativa della psicologia di Adolf: si sente in colpa fin da bambino, perché grazie alla sua intelligenza il padre postino permette a lui, e non a suo fratello maggiore, il proseguimento degli studi fino all'università. Schierato con gli oppositori al nazismo, riesce a espatriare in America, ma il senso di colpa per aver abbandonato agli orrori del regime gli amici e la famiglia gli provoca scompensi psicotici e viene forzatamente rimpatriato. In tutti gli aspetti della sua esistenza si sente sempre inadeguato rispetto a un sé ideale irraggiungibile: anche i suoi amori sono vissuti senza serenità, perché il desiderio di evitare i conflitti finirà per farlo indietreggiare di fronte alle esigenze dei sentimenti. Arruolato durante la guerra come interprete, cerca di favorire gli alleati ma non riuscirà, a guerra finita, a provare il suo antinazismo, finendo per soccombere al marasma psichico. Nella vita tormentata di Adolf, Silvia Di Natale tratteggia con coraggio e intelligenza il dramma spirituale di tutta la Germania antinazista, che ancora non si è liberata dalla vergogna del passato.
A cura di Wuz.it
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