Il ruolo cruciale svolto dagli intellettuali nell'opera di costruzione del consenso al regime e di amplificazione della propaganda fascista è noto. Il volume di Allotti approfondisce il rapporto intrattenuto dagli opinion maker per eccellenza, i giornalisti, con il fascismo, ed esplora, per la prima volta in maniera sistematica e documentata, la loro transizione al postfascismo. I protagonisti sono i giornalisti della grande stampa d'informazione. Quelli appartenenti alla generazione dei "padri", che entrarono nella professione prima dell'avvento del fascismo, come Missiroli, Ansaldo, Monelli, e quella dei "fratelli maggiori", affermatasi negli anni del regime, che contava tra le sue file Montanelli, Gorresio, Piovene, Barzini jr, Brancati. Nella prima parte l'autore descrive l'azione di "fascistizzazione" della stampa realizzata dal fascismo all'indomani dell'avvento al potere, delineando un quadro necessario per capire l'atteggiamento successivo dei giornalisti verso il regime. Nella seconda si esamina, a partire dai testi e dalla documentazione archivistica, il contributo fornito dai giornalisti alla propaganda. Le avventure coloniali, i viaggi del duce, la campagna antisemita e infine la guerra mondiale costituiscono le occasioni per illustrare, in maniera episodica ma emblematica, la collaborazione, non tanto imposta, ma spesso attivamente ricercata, del giornalismo alla costruzione dell'universo di miti e di valori del fascismo. L'ultima parte è dedicata alla transizione dei giornalisti alla democrazia: nel nuovo clima politico e di fronte alla minaccia di perdere il proprio status professionale e sociale, i giornalisti ex fascisti misero in atto strategie di mimetizzazione, di minimizzazione o di mistificazione del proprio ruolo nell'apparato propagandistico-culturale del regime. Per questa ragione la grande stampa, ancora dominata dai protagonisti della passata stagione passati indenni attraverso l'epurazione, contribuì a realizzare quella "defascistizzazione" retroattiva e quella banalizzazione del fascismo che avrebbero impedito agli italiani di fare i conti con il passato. Il lavoro di Allotti si muove sul piano della ricostruzione storica, senza indulgere al sensazionalismo e al moralismo con i quali molta pseudostoriografia ha presentato negli ultimi anni le vicende degli intellettuali tra fascismo e democrazia. Il lavoro mostra, anche se non sottolinea abbastanza, come il "conformismo" sia non già una caratteristica degli intellettuali o, addirittura, un tratto "antropologico" degli italiani, bensì un atteggiamento indotto dal funzionamento stesso del regime totalitario. Anche a non voler considerare la sincera fiducia nella natura progressiva del fascismo, la stessa prospettiva di un dominio politico indefinito è sufficiente a spiegare le molte conversioni o nel caso dei più giovani la "naturale" adesione degli intellettuali al regime. Allo stesso modo, come mostra anche l'analisi di simili casi nazionali, primo fra tutti quello tedesco, la rimozione e/o la reinvenzione del passato costituiscono spesso l'unica strada per risanare la lacerazione delle coscienze e delle identità, individuali e collettive, prodotta dal crollo del totalitarismo e dal passaggio alla democrazia. Luca La Rovere
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