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Claudio Piersanti firma uno dei suoi libri migliori, uno scatto sopra, addirittura, a Luisa e il silenzio. I giorni nudi torna sui temi classici dell'autore e dipana una trama di dissoluzione, che culmina nella malattia della verità. Depressione, disamore, solipsismo e afasia sono gli ingredienti. Il garbo crudo di Piersanti non risparmia niente e se si può non condividere il nichilismo di fondo, si riconosce una forza ammirevole nella sua letteratura. A me I giorni nudi ha ricordato la nudità severa e malinconica dei versi di Maurizio Cucchi e Piersanti rimane uno degli italiani da leggere sempre.
Piersanti continua a modo suo - con la sua scrittura piana e che trovo vagamente "pontiggiana" - la sua galleria di solitudini e allontanamenti. rispetto a "Enrico Metz", viene aggiunto un tocco della arida disperazione di Houllebecq nel tratteggiare il personaggio principale. il libro peró funzionana meno rispetto al "Metz", in sostanza perché i personaggi risultano tutti indifferentemente abbastanza odiosi. potenti peró le ultime pagine dedicate al tema della depressione, insomma Piersanti scrittore di valore SI, dovrebbe forse cambiare un pó temi e scenari.
Mi ha colpito questo romanzo perché descrive bene come l'essere troppo concentrati su sé stessi mette a rischio la condivisione della vita con chi si ama.Bravo Piersanti
Recensioni
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Il nocciolo duro della storia raccontata da Claudio Piersanti in I giorni nudi è racchiuso nel disegno posto sulla copertina del volume: su uno sfondo di un colore liquido e uniforme si stagliano due figure, una donna piacente tiene per mano e guarda negli occhi un uomo che appare informe, senza volto. È la storia d'amore di Alberto, sceneggiatore di successo cinquantenne che sente improvvisamente di non essersi ancora mai messo in gioco, e Lucia, una bellissima e giovane ragazza incontrata per caso durante una banale convalescenza in ospedale in seguito alla rottura di una gamba. Ma è di una malattia ben più grave che soffre il protagonista del romanzo: il non riuscire ad abbandonarsi pienamente a un sentimento sincero e senza calcoli. Lavoratore accanito, Alberto è da un lato immerso nel mondo pieno di invidie e compromessi del cinema, dall'altro ne è disgustato e sente dentro di lui "la sgradevole sensazione di stare macinando soltanto acqua". L'ambivalenza del rapporto con il mondo lavorativo si riverbera anche nel suo modo di relazionarsi al mondo femminile: Alberto vive infatti nell'idealizzazione della madre morta e prova disprezzo per le donne con cui ha avuto delle storie; dalla ex moglie Marta, ora sposata con il suo socio in affari Guido, all'amante occasionale Alessia. L'arrivo inaspettato di Lucia cambia tutto: non senza farsi le consuete domande legate alla differenza di età, il protagonista si butta senza riserve nella storia con la ragazza, la prima donna della sua vita dotata di viva intelligenza e capace di donarsi.
Piersanti declina il racconto in tre tempi cinematografici (non a caso lavora tuttora come sceneggiatore per il cinema e la televisione) e, per la prima volta nel suo percorso creativo, concentra tutte le sue energie narrative nella descrizione minuziosa dello sviluppo "biologico" del rapporto tra i due protagonisti. Dopo un inizio quasi idilliaco, fatto di chiacchierate appassionate, cene, premiazioni cinematografiche, il lettore assiste al declino della storia, dovuto soltanto all'incapacità di amare di Alberto che lentamente emerge dal susseguirsi delle pagine. Di particolare efficacia risultano i dialoghi, che spaziano da riflessioni sull'amore dal tono quasi sapienziale a toni da commedia dell'assurdo. Essi non riescono però a nascondere uno dei principali difetti di fondo del romanzo: pur essendo ben scritto e ben strutturato, i personaggi sembrano muoversi su uno sfondo indefinito e a volte la complessità del reale sembra essere impoverita, depotenziata solo per far funzionare l'oliato congegno narrativo.
Nella terza parte del romanzo, intitolata La malattia della verità, l'autore affronta corpo a corpo lo spettro che aleggia sul racconto fin dalle prime pagine: la depressione di un uomo maturo che deve confrontarsi con i nodi irrisolti del passato in seguito alla fine di una storia d'amore. Come un (post)moderno Zeno Cosini, Alberto è costretto a intraprendere una terapia e un processo di autoanalisi che non riesce a intaccare il suo cinismo beffardo. Le conversazioni con il dottor Valentini sembrano riuscire a portare una finale serenità, che agli occhi del lettore appare però quasi irreale e precaria ("Voleva dormire ancora per rivederla, tutto il giorno e tutta la notte. Era stato così bello. Era stato così felice").
Piersanti si mantiene sulla linea del racconto intimista già iniziata con Casa di nessuno (Feltrinelli 1981, Sestante 1993) e Luisa e il silenzio (Feltrinelli, 1997) e la approfondisce, alternando efficacemente da un lato i punti di vista dei protagonisti, dall'altro i piani della realtà e della finzione cinematografica. Dell'ambiente gravitante attorno all'industria del cinema e delle fiction lo scrittore traccia un ritratto duro e impietoso (del resto ha affermato recentemente in un'intervista che grazie al libro "si sarebbe tolto qualche sassolino dalla scarpa"): emerge un mondo cinico, corrotto e in piena decadenza che assomiglia in maniera preoccupante a quello che siamo abituati a vedere nella vita politica di tutti i giorni.
Eloisa Morra
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