L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Scoperto per puro caso, dopo averne letto una poesia non ricordo più dove. E dopo averlo letto e riletto, continuo a chiedermi come sia possibile che un libro così lo si debba scoprire per caso, ché un libro così, invece, dovrebbero saperlo tutti che esiste. Poi se leggerlo o meno, che ognuno lo decida per conto proprio, ma che molti neppure sappiano che questo libro ci sia, da qualche parte, no, non credo sia giusto.
L’umanità raccontata da Pop è composta da derelitti, persone svuotate di qualsiasi identità e prive di prospettive, funamboli sospesi in uno spazio sgombro di passato e di futuro, il cui unico presente è rappresentato dall’abbrutimento della fatica, della miseria, dell’alcol sanitario allungato con acqua. Hanno anche dei nomi, queste larve di uomini da lui descritti (Mircea, Hansi, Sebastian, Zoli), ma sono in realtà ombre intercambiabili accomunate solo dallo sfruttamento e dalla povertà: «sempre me ne vado in giro come avvolto in qualcun altro», «qui la vita si beve e la morte si dimentica», «non conta più nulla se io sono io o io». C’è più abbandono che solitudine, più rassegnazione che rabbia, in questo Lumpenproletariat; nessuna rivendicazione sociale o politica, nessuna attività fisica, lavorativa, amatoria, nell’apatia totale determinata dall’assenza di speranze e di obiettivi: «so che domani non sarà altro domani che / il solito oggi e oggi e oggi e oggi tutto il tempo / e oggi per oggi non si può fare granché». Nemmeno la parola può salvare, e infatti esce da questi versi smozzicata, balbettante, iterata in cantilene infantili, incapace di effettiva comunicazione: non c’è bestemmia né imprecazione «nel vicolo cieco del nostro parlare», solo la pura constatazione di un’infelicità senza desideri, ridotta ad articolarsi in interiezioni elementari: «mircea ha detto eh! e tutti hanno detto eh! io ho detto eh!». Si abita in condomini fatiscenti, in stanze murate metafora dell’incomunicabilità col mondo esterno, prive di porte e finestre («invano ti affannerai a cercare l’uscita l’entrata l’uscita»), con pareti grattate dalle unghie come nelle carceri, e stufe che fanno più fumo che fuoco. Perché uscire dall’inferno, allora, se fuori c’è solo «sterpaglie e acqua», fango e pozzanghere, topi e malattie, neanche mezzo autobus che passi, e nemmeno un dio che prometta riscatto o pietà? «Nessuno avrà tanto niente come noi».
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore