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Indriðason rimane una punta di diamante nel panorama del giallo nordico. Sempre bello e teso l'intreccio, di grande interesse – almeno dal mio punto di vista – l'attenzione alle tematiche sociali del piccolo mondo islandese, in cui la natura selvaggia mette a dura prova l'uomo e la modernità, con le problematiche della delinquenza giovanile e della xenofobia, contribuisce a uno sviluppo non sempre lineare della piccola comunità dell'isola.
Libro toccante forse più degli altri libri dell’autore forse perché riguarda un bambino e le dolorose circostanze che lo vedono coinvolto. Un gelo che penetra nella pelle...
In un freddo pomeriggio d’inverno Elias, un bambino di origine tailandese di dieci anni, è trovato nel giardino del suo condominio popolare a Reykjavik, ucciso da una coltellata all’addome. Gli agenti Erlendur Sveinsson, Sigurđur Oli e la detective Elìnborg si occupano delle indagini. Il fratellastro di Elias, Niran di quindici anni, rifiuta di parlare e con l’aiuto della madre Sunee si è reso irreperibile. Potrebbe sapere qualcosa. Forse si tratta di un episodio di razzismo, perché alcuni nel quartiere, fra cui un insegnante di Elias, non vedono di buon occhio i lavoratori stranieri, ma non è da scartare l’ipotesi della pedofilia o dello spaccio di droga. Erlendur e i colleghi interrogano i familiari del bambino, insegnanti, compagni di scuola, vicini di casa ma nulla sembra emergere x far luce sul caso. Come in altri romanzi di Indriđason la storia gialla sembra un pretesto x introdurre un tema sociale caro all’autore: in questo caso si tratta del razzismo latente nei confronti degli immigrati extracomunitari. E’ un sentimento diffuso anche negli altri paesi occidentali: si sfrutta una forza lavoro necessaria, ma si diffida di persone con usi e tradizioni diverse dalle proprie, che spesso reagiscono chiudendosi in una comunità ristretta e ostile alla nazione che le ospita. La storia è lenta e priva di colpi di scena: forse ha ragione Erlendur quando parla di un “tipico delitto islandese”, cioè di una vicenda banale. Non ci sono sparatorie ed eroici salvataggi all’ultimo minuto, così cari agli autori americani: potrebbe essere uno dei tanti fatti di cronaca reale, verosimile e tragico nella sua semplicità. Il romanzo racconta in parallelo la vita di Sveinsson e dei suoi collaboratori: piccole storie di persone comuni, con i loro problemi e difficoltà quotidiane. Erlendur è un uomo tormentato da antiche ossessioni e sensi di colpa, depresso e solitario, forse troppo passivo e abulico ma capace di suscitare empatia.
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