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Esito necessario di una contraddizione piú che secolare (quella tra «la sostanza umana e naturale» della società e il generalizzarsi dei rapporti mercantili), la «grande trasformazione» subita dalle istituzioni liberali negli anni trenta del nostro secolo è al tempo stesso per Polanyi la dimostrazione della falsità delle tesi dell'economia politica classica e neoclassica, con la loro apologia dell'homo oeconomicus e del «mercato autoregolantesi». Ricorrendo largamente ai dati dell'antropologia e della storia (il discorso di Polanyi spazia dall'economia primitiva degli isolani delle Trobriand studiati da Malinowski alla vastissima letteratura sulla Rivoluzione industriale in Inghilterra), Polanyi dimostra il carattere alla lettera « singolare » , non « naturale » delle società di mercato, che critica anche radicalmente dall'interno. Logico sbocco di questo rifiuto di un mondo in cui il fascismo costituisce una «mossa» sempre possibile, è il successivo passaggio di Polanyi a quelle ricerche di antropologia economica ed economia comparata che gli assegnano un posto di primo piano nella costruzione di una scienza unificata delle società umane.
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