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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 1993
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«Lui che oggi si sentiva un dubbio insidioso crescere nella mente: se il fine occulto del suo cercare fosse stato di non trovare...»
Spettatore infantile dell'Opera dei pupi, poi garzone a bottega di un pittore di paladini, Gesualdo Bufalino si appassionò precocemente a duelli, incantesimi, amori che vedeva fiorire ogni giorno sugli sportelli dei carri e sugli "scacchi" dei cartelloni. Lette le gesta di Guerrino il Meschino sulle pagine di un'edizione tascabile, ne fece il suo idolo di quegli anni. Qui il ragazzo di allora, nei panni di un anziano cantastorie dalla lingua arcaica e visionaria, guida il suo eroe di prova in prova, alla ricerca del padre ignoto e d'una lenta maturità, nelle intenzioni di un viaggio d'educazione travestito da fiaba cavalleresca. Viaggio e fiaba, però, si interrompono a metà, lasciando molti fili sospesi, sotto l'incalzare di un tempo che crede poco ai miracoli della finzione e all'amabile gioco delle parti cari alla convenzione romanzesca. Abbandonato dai suoi personaggi, all'autore non resta che arrendersi ai patemi del presente, agli scenari di cartapesta, alla "mise en abîme" del suo cuore.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un fantasmagorico, epico e magico romanzo cavalleresco, scritto in un magnifico ed elegante italiano arcaico, prosa che rimanda all'occhio della mente, antiche musiche e sussurri di poesie dimenticare, un multistrato concettuale, diverse chiavi di lettura che stimolano a non soffermarsi mai alla semplice superficie, la triste voce di un vecchio puparo che racconta e ricorda. L'opera contiene anche parte de La favola del castello senza tempo, di recente pubblicata da Bompiani in un singolo ed elegante volumetto illustrato, il che arricchisce ancor di più il valore artistico di questo romanzo breve. Un finale sublime, di quelli che non si dimenticano.
Non so perché, ma non ho mai amato particolarmente il teatro. Nulla di personale, ma la poesia e la prosa o, se si preferisce, la lirica e la narrativa, mi hanno sempre interessato di più. Figurarsi dunque, a maggior ragione, il teatro popolare e, dulcis in fundo, si fa per dire, l'opera dei pupi. Però, a dire il vero, marionette e affini una qualche fascinazione la emanano - sarà per via di un certo senso del perturbante freudiano che mi ispirano? - e così, leggendo sul retro di copertina l'espressione "spettatore infantile dell'Opera dei pupi" riferita al mio amatissimo Bufalino, mi sono lasciato vincere dalla tentazione di leggere il suo "Il Guerrin Meschino", dei primi anni Novanta. Per fortuna, come insegna Wilde, resto a tutto fuorché alle tentazioni e, a lettura appena ultimata, mi trovo a ripetere "Maledetto, grandissimo Gesualdo" come tante altre volte in passato. In breve: un vecchio puparo racconta per l'ultima volta la storia di Guerrino detto il Meschino, delle sue mirabolanti imprese guerresche e soprattutto dei suoi viaggi alla ricerca dei genitori naturali: un duplice omaggio ad Andrea da Barberino e all'arte tutta siciliana del teatro dei pupi. In lungo: il tentativo - riuscito - di Gesualdo Bufalino di farsi puparo della storia di Guerrino, ma soprattutto spietato esaminatore di sé stesso e di ogni essere umano, che altro non è che una marionetta guidata dai fili di Dio, del caso o dei propri fantasmi mentali (scegliete voi). "Non si dovrebbe diventar vecchi. / Ormai confondo le gesta, dimentico le casate, / m'impennacchio di parole morte; / durlindane e olifanti, non ci credo più" (p. 9) "Ma allora," mi dissero, "anche Guerrino il Meschino?..." / E indicavano il pupo, / penzoloni con gli altri da un chiodo della baracca. / "Morendo io, muore anche lui," / risposi e lo staccai dal muro, / gli ruppi con due dita la noce del collo. / "Che fa, non l'avevate capito? / Sono io, Guerrino il Meschino." (pp. 120-121) Maledetto Bufalino...
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