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I maggiori studiosi di Nietzsche evidenziano i temi peculiari della sua filosofia, ne esaminano le opere collocandole nel loro contesto storico-teorico e ne sottolineano gli influssi sulla riflessione filosofica successiva.
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Dettagli

3
2004
12 marzo 1999
XII-422 p., Brossura
9788842055419

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Andrea Storti
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Questa non è una "Guida a Nietzsche" bensì una "Guida CONTRO Nietzsche". Mai respirata tanta contrarietà a Nietzsche: esibita con delle "prove" sulla sua contraddittorietà (in particolare il leitmotiv del relativismo-prospettivismo ingenuo) di una superficialità inverosimile. L'"Anello del ritorno" di Severino, non a caso nemmeno menzionato nella bibliografia (la miglior parte del libro!), basta a confutare mezzo libro. Non solo com'è ovvio, Ferraris non è Severino, ma nemmeno i suoi "compagni" riescono a sfiorare un Peverada. Come non bastasse, l'ultima parte del testo addirittura riflette sull'utilità o meno del lavoro Colli-Montinari. La sezione relativa al prospettivismo (cap.V), è disarmante: Nietzsche non sarebbe altro che una contraddizione vivente. Insomma, chi vuole avvicinarsi a Nietzsche in maniera quanto meno imparziale, NON legga mai questa "guida". Andrea Storti

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Voce della critica


recensioni di Carchia, G. L'Indice del 1999, n. 10

Per più versi, i contributi che costituiscono questo volume della collana laterziana "Guide ai filosofi" sono destinati a segnare una svolta nella storia della recezione italiana di Nietzsche. Per la prima volta, infatti, si elabora qui una radicale revisione dell'esegesi nietzscheana affermatasi in Italia, a partire dalla fine degli anni sessanta, sulla scorta dell'interpretazione offerta da Heidegger negli anni trenta. Si tratta, dunque, di una drastica messa in discussione delle letture, in senso lato, storicistiche dell'opera di Nietzsche, che negli anni ottanta hanno portato a quella concezione di una "post-filosofia" che, in nome del relativismo, pensa di poter fare a meno della nozione di verità e che ipotizza la sparizione, nella società dello spettacolo, di ogni durezza ontologica della realtà. L'esegesi heideggeriana si era caratterizzata per avere privilegiato, a scapito dell'ontologia nietzscheana, la sua assiologia, vale a dire il riferimento a un mondo di valori storico.

Rispetto a questa linea "assiologica", i cui risvolti effettuali sono state le prevalenti letture in chiave etico-politica, dai pesanti risvolti ideologici, che hanno insidiato addirittura la discussione sui criteri filologici delle diverse edizioni delle opere di Nietzsche, il volume curato da Ferraris propone un'ipotesi di lettura decisamente alternativa. Facendo riferimento ai pionieristici lavori di Müller-Lauter e, più recentemente, a contributi sempre più determinati e puntuali, come ad esempio i lavori di D'Iorio e di Clark, si mostra qui l'infondatezza della tesi secondo cui si darebbe in Nietzsche un nichilismo ontologico ("il mondo vero divenuto favola"). Un teorema celebre come quello relativo alla "morte di Dio", ad esempio, messo al centro dalle letture a vario titolo esistenzialistiche, in realtà non intacca per nulla la fiducia nietzscheana nell'essere: "La morte di Dio - dice Ferraris - non comporta alcuna conseguenza sul piano della questione dell'essere, che anzi (come mondo e come vita) permane quale termine di confronto positivo rispetto alla spettralizzazione del divino".

Presupposto per il rovesciamento dell'esegesi heideggeriana è la cognizione - ben chiara nella recezione nietzscheana d'inizio secolo (Claire Richter) - del legame di Nietzsche, con la scienza positivistica della sua epoca, e della sua sostanziale estraneità al paradigma greco-tedesco in cui Heidegger volle imprigionarlo.

Il canone costruito da Heidegger prescinde completamente dalla realtà effettiva dell'ambiente e delle influenze che si sono esercitate su Nietzsche, e costruisce così un'immagine deformata proprio di quel contesto storico che pure Heidegger vorrebbe valorizzare come l'unico piano sul quale sarebbe possibile fornire una valutazione dell'apporto di Nietzsche alla filosofia. Heidegger tace completamente sul fatto che, in amplissima misura, le riflessioni gnoseologiche ed epistemologiche di Nietzsche furono elaborate in un costante dialogo con la scienza positivista della sua epoca (in particolare con autori come Friedrich Albert Lange, Karl Eugen Dühring, Justus von Liebig, Émile Du Bois-Reymond, Wilhelm Roux, Hermann Ludwig von Helmholtz, ecc.). Che non ci siano fatti, ma solo interpretazioni, è quindi un apoftegma che sembra essersi applicato, prima di tutto, a Nietzsche stesso, rimasto indifeso di fronte alla vis interpretativa di quanti hanno profittato delle paradossali contraddittorietà del suo pensiero. Ciò ha contribuito a celare la realtà dell'elaborazione teorica nietzscheana, che è una vicenda incessante di ipotesi e riflessioni vertiginose, che non hanno tanto attinenza con la vicenda storica dell'uomo, quanto col suo radicamento storico e naturale. L'ethos dello scienziato governa del resto, fin da principio, l'attività di Nietzsche nella sua veste di filologo. Ciò è mostrato molto bene, fra l'altro, da Gherardo Ugolini nel suo persuasivo riepilogo dei principi della filologia nietzscheana. Ugolini pone l'accento sulla solidità scientifica del metodo filologico nietzscheano, non solo in relazione alle sue prove giovanili alla scuola di Ritschl, ma anche in rapporto a un'opera solitamente diffamata, a partire da Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, come La nascita della tragedia.

In base a queste premesse, i diversi contributi dei collaboratori riconducono giustamente il pensiero di Nietzsche al clima in cui si prepara la rinascita del kantismo, trasformato in senso materialistico e sensistico, nella seconda metà dell'Ottocento. Nasce così un nuovo canone, non più immaginario, ma reale, che comprende fra gli altri i nomi di Schopenhauer, di Fries, di Herbart, nonché quelli degli esponenti del real-idealismo, da Eduard von Hartmann ad Africano Spir.

Grazie a questo nuovo paradigma, che abbandona l'immagine stantia di un Nietzsche difensore delle scienze umane, in polemica con la scienza naturale del suo tempo, in favore di un Nietzsche che dialoga ininterrottamente col pensiero della sua epoca, il volume si spinge fino ad avanzare alcune nuove e radicali ipotesi di lettura. Anticipata dall'interpretazione offerta da Karl Löwith nel 1935, la lettura di Ferraris mette al centro dell'ontologia nietzscheana l'affermazione dell'eterno ritorno. Affermazione preparata dal carattere biologistico, che si riannoda alla monadologia leibniziana e alla morfologia goethiana, della scienza di Nietzsche. La prospettiva dell'eterno ritorno si pone precisamente come ipotesi volta al superamento del nichilismo: "L'eterno ritorno afferma la piena saldezza cosmologica dell'essere e, al tempo stesso, rivela come tutta la questione del nichilismo non abbia alcuna portata ontologica, bensì riguardi semplicemente una sfera assiologica di valori, di cui si può fare benissimo a meno quando, divenuti finalmente filosofi, si smetta di guardare alle cose con occhio troppo umano". "Mentre tutto ciò che noi conosciamo con i nostri sensi viene umanizzato (e da questo punto di vista produce il nichilismo, la sfiducia in una verità oggettiva e in un essere stabile), un altro sguardo ridurrebbe tutto a un granello in un universo che non segue alcuna regola, appunto perché le leggi, siano esse meccaniche o biologiche, pervengono a una sfera limitata". In questo senso, l'ipotesi dell'eterno ritorno, appartenendo a una "metafisica fisica", si pone come un punto di vista assoluto, capace di relativizzare ogni prospettivismo, riducendolo all'angusto punto di vista umano, e capace soprattutto di dare realtà e spessore al mondo.

Grazie alla delineazione di questo sfondo ontologico, diviene allora possibile individuare anche un'idea ben diversa di quel prospettivismo che la deriva postmodernistica ha creduto di fare sfociare in uno scetticismo nichilistico. È il tema che svolge accuratamente Tonino Griffero nella sezione del volume dedicata alla Teoria dell'interpretazione. Griffero individua tre significati essenziali della nozione di "prospettiva" - il primo "fisiologico", il secondo "istintuale", il terzo "storico-culturale" - che non conducono affatto a un relativismo gnoseologico: "A un primo esame, questo prospettivismo sembra sancire, come la rivoluzione copernicana di Kant, non tanto la negazione nichilistica di ogni verità, quanto il passaggio dalla (impossibile) verità dell'oggetto alla (modesta ma certa) verità del senso del contesto semantico introdotto (e poi 'ritrovato') nel mondo delle varie prospettive". Non c'è indifferentismo scettico nella posizione di Nietzsche, bensì la credenza in una sorta di progresso nella disputa fra le varie opzioni prospettiche.

L'apporto decisivo del volume consiste, probabilmente, nello smantellamento dell'immagine mitico-profetica di Nietzsche, così come questa si era venuta costituendo, all'indomani del primo conflitto mondiale, nell'ambito del circolo di Stephan George, negli scritti di Ernst Bertram (Nietzsche. Per una mitologia, 1918; il Mulino, 1988), di Thomas Mann (Considerazioni di un impolitico, 1918; Adelphi, 1998), di Oswald Spengler (Il tramonto dell'Occidente, 1918-22; Longanesi, 1978), di Ludwig Klages (Dell'eros cosmogonico, 1922). È a partire da questa immagine sacrale di Nietzsche come profeta di una umanità futura che si è costituita, in fondo, anche l'immagine, non meno auratica, di Nietzsche in Heidegger. Queste mitizzazioni, che hanno finito col trasformare il pensiero di Nietzsche in una nuova religione, pronta ai più svariati connubi storico-ideologici, non ultimo quello col nazismo, si sono poste, fra l'altro, in flagrante contraddizione con lo spirito stesso dell'opera nietzscheana, tesa alla critica degli idoli e delle mistificazioni.

Con un giudizio diametralmente opposto a quello heideggeriano, negli anni trenta, Piero Martinetti aveva contrapposto alla non rilevanza del Nietzsche filosofo la sua grandezza di scrittore, sottolineando al contempo la grandezza filosofica dell'opera di Schopenhauer (da Heidegger sempre misconosciuta). Questa nuova esegesi del pensiero nietzscheano fa in qualche modo suo il giudizio di Martinetti, ribadito in tempi recenti da Derrida, facendo dell'assiologia nietzscheana un esercizio di stile tanto suggestivo quanto privo di coerenza, esposto a contraddizioni che ne minano il valore filosofico. Si tratta dell'incoerenza poetica, innocua sul piano letterario, pericolosa su quello ideologico, che fa di Nietzsche uno dei grandi interpreti del male di vivere, al pari di Leopardi, di Baudelaire, di Dostoevskij. A fronte della complessità contraddittoria e paradossale del Nietzsche scrittore, sta invece la semplicità onesta del Nietzsche "metafisico fisico" e il suo sogno di un ritorno della perversa vicenda umana nell'innocenza del semplice divenire naturale.

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