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Affermare che quello dell'esule sia uno dei motivi più frequentati dalla letteratura novecentesca potrebbe sembrare di per sé un'ovvietà una cosa ormai risaputa e questo almeno da quando lo Stephen Dedalus joyciano aveva confidato all'amico Cranly le sole armi che intendeva concedersi di usare nella sua futura avventura di artista: "il silenzio l'esilio e l'astuzia". In una prospettiva più teorica come ricorda Eleonora Rao nell'introduzione a questo suo Heart of a Stranger è stato George Steiner nel saggio del 1972 Extra-Territorial a definire la condizione dell'esilio come l'aspetto costitutivo ed essenziale della situazione in cui si dibatte lo scrittore del ventesimo secolo. Ciononostante a dispetto di ogni ovvietà proprio in virtù dell'essenzialità che i temi dell'esilio e della perdita di un univoco senso di appartenenza vivono nel nostro stesso presente pare oggi impensabile ogni tentativo di oltrepassarne la problematica pare non esistere alternativa credibile se non quella di sostare sulla linea di confine per continuare ad interrogarne le apparizioni. E l'urgente necessità di questa interrogazione non può poi non assumere risvolti particolarmente seducenti se rivolta a quell'universo di scrittura femminile lasciato troppe volte in disparte esso stesso dunque esule straniero per eccellenza "in the paradise of male letters". Proprio da tali presupposti pare prendere le mosse Eleonora Rao che si propone in uno spedito quanto efficace studio di esplorare la metafora dell'esilio lungo una significativa congerie di figure e di testi in lingua inglese: dal primo e più esteso capitolo in cui campeggia il personaggio della "melancholic outsider" caratteristico della narrativa di Anna Kavan e Jean Rhys alla parte centrale del libro costituita da un lungo viaggio nell'orizzonte di "immigrant imagination" tipico della letteratura femminile canadese fino all'ultimo capitolo dedicato alla scrittrice ebrea esule dall'Ungheria Susan Rubin Suleiman. I termini che costantemente ricorrono ed entrano in contrapposizione dialettica nel libro sono da una parte quelli di home belonging centre e dall'altra quelli di migration estrangement margins. La figura chiave è quella dello straniero(a) coinvolto più o meno volontariamente in un vagabondaggio spaziale temporale e interiore privo di una traiettoria lineare e di una finalità prestabilita quella dell'abitante di uno spazio che Edward Said ha emblematicamente definito "the perilous territory of non-belonging". Tuttavia questa sorta di wild zone in cui l'esule e in primo luogo l'écriture féminine sono confinati pur inevitabilmente contraddistinta dalla sofferenza e dalla solitudine relative alla perdita di un pacifico contatto con il mondo e con il proprio io si manifesta altresì come l'unico luogo da cui sia possibile rivolgere alla realtà un nuovo sguardo muovere alla ricerca di nuove rappresentazioni e figure capaci di agire criticamente sulla consuetudine del razionalismo occidentale sulla maschile corsa al concetto sul "failed public system of meaning".
Davide Racca
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