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Tutti noi abbiamo una conoscenza indiretta della tragica storia della città giapponese di Hiroshima, quando il sei agosto del 1945 centinaia di migliaia di cittadini inconsapevoli di quanto stava accadendo e di che cosa avesse improvvisamente colpito la città, morirono, cancellati in pochi minuti dall’esistenza da quel boato di vento incandescente e di scurissima polvere che rese il cielo pur in piena estate e di mattina notturno. Naturalmente dopo un flash di luce intensissimo e silenzioso, e proprio quando era suonato il cessato pericolo. John Hersey è stato invece uno dei pochi giornalisti quasi testimone dell'accaduto, per mezzo delle testimonianze dirette dei sopravvissuti da lui intervistati nei mesi successivi all’esplosione. Il libro è il rendiconto fattuale (“a vivid matter-of-fact story”), ma soprattutto psicologico, di quei drammatici momenti. A raccontarsi sono principalmente sei sopravvissuti che spronati dalle domande di Hersey e grazie alla spinta emozionale che ogni sopravvissuto ha di far conoscere la propria vicenda umana si sono confessati, mostrando tutta la loro debolezza difronte all’inevitabile concatenazione degli eventi; poiché, dopo la deflagrazione, Hiroshima è stata colpita una seconda volta da fortissimi venti tempestosi che hanno devastato i pochi rifugi verdi, come i parchi cittadini, dove la gente si era ammassata. È infatti tipico della mentalità giapponese – spiega Hersey - “rifugiarsi sotto le foglie” per scampare al pericolo imminente. Sono storie che si intrecciano, percorsi di vita destinati al mutuo soccorso: nelle quali tutto è riportato al grado zero della pura sopravvivenza. E una testimonianza di vita e di storia che anche a distanza di oltre settant’anni mantiene intatta tutta la sua forza tragica.
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