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Hugo Wolf, più di qualsiasi altro compositore, deve la sua fama postuma alla costruzione di una bibliografia e di una discografia più che alla capillare diffusione della sua musica. Questo anche perché, dopo una vita negletta, la data della sua morte (1903) coincide con gli albori della musicologia moderna e dell’industria discografica. La scuola inglese (Newman, Walker, Legge) ha avuto da sempre il predominio negli studi wolfiani, e il libro "The Songs of Hugo Wolf" di Eric Sams (1961) costituisce il capolavoro insuperato nella ricerca musico-verbale sul Lied tedesco. Qui, in attesa di pubblicare in italiano quel grande studio monografico, vengono presentati gli altri scritti wolfiani di Sams: la voce enciclopedica per il Grove, con il dettagliatissimo catalogo delle opere, e una scelta di recensioni che raccontano in tempo reale la fortuna discografica ed editoriale di Wolf dagli anni ’60 in poi. Sams rimane il solo ad aver letto la figura e l’opera di Wolf al di fuori di falsi miti biografici, senza confondere personalità, patologie e creatività, ma identificando nella musica la naturale sintesi di quegli aspetti. Viene sfatato ogni luogo comune, a partire da quello su un pregiudiziale, ‘facile’ wagnerismo di Wolf, e il compositore appare finalmente come depositario naturale della tradizione poetico-musicale tedesca, dove l’immagine verbale si fa motivo musicale e la vita vissuta offre spesso una chiave per decifrare il senso di quell’analogon.
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