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Libro scorrevole ma non particolarmente appassionante. Un po' noiosetto, probabilmente non il mio genere
Imbarazzante per quanto sia banale!
Devo dire che sono rimasta abbastanza delusa dalla Marzano, filosofa per altro, mi aspettavo qualcosa di diverso. Il racconto, per quanto presenti spunti di riflessione tuttavia, si perde nei meandri di pensieri reconditi, esternazioni personali capricciose, ripetitive, a tratti banali poco interessanti se non addirittura inutili ai fini della narrazione per la quale ci si aspetta si apra ad un di più ,si spera diventi d'un tratto coinvolgente. Un di più che, pur nell'avanzare dei capitoli, in realtà non arriva. Il racconto- con note autobiografiche in filigrana- intreccia in modo confuso un presente deprimente e un passato rimembrato con una certa stizza, si snoda in modo poco scorrevole senza mai arrivare veramente ad appassionare. Rimpiango Grazia Deledda, le sue opere e i grandi narratori del XX secolo, il talento e la straordinaria capacità di arrivare in profondità . Grazie
Recensioni
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«Il passato non passa mai, Pierre. Non passa per me, non passa per tua madre, non passa per nessuno».
Il passato di Alessandra, protagonista di Idda (240 pagine, 17,50 euro) il nuovo romanzo di Michela Marzano, uscito per Einaudi, è come un macigno nella sua vita. Fuggita da un piccolo paese del Salento, dopo la morte della madre, dalla casa in cui è cresciuta, in cui le mura custodiscono ombre, spiragli, voci e sussurri che continuano a raccontare cosa non c’è più; Alessandra continua a fuggire.
Oggi Alessandra è una donna di quarantuno anni, docente di biologia, vive a Parigi con Pierre e ha lasciato che una nuova vita prendesse posto dentro di sé, cercando di dimenticare il più possibile del suo passato, una su tutte: la morte della madre, sopraggiunta prematuramente, causata da un incidente stradale. Da qui la frattura che si è creata sembra irreparabile. Alessandra oggi è una donna piena di interrogativi. La vita a Parigi è stata una nuova vita, «punto e daccapo. Come diceva sua madre», uno spazio in cui anche la lingua le ha consentito di arginare al passato le parole della sua infanzia, come «puricina» e «caledda» i vezzeggiativi che usavano i suoi genitori nel riferirsi a lei e che fanno ancora male.
Tuttavia anche oggi ci sono questioni irrisolte. Il suo rapporto con Pierre, ad esempio, è fatto di tanto amore ma alle volte anche di incomprensioni. Il tentativo di Alessandra è quello di aiutarlo, standogli vicino, trasmettendogli il suo amore, ad accettare la sua situazione. E ciò che Pierre fatica ad accettare è di non riconoscere più sua madre, Annie. Una donna che lentamente sta perdendo la memoria a causa di una malattia degenerativa senile che sta erodendo tutti i suoi ricordi: «Un figlio può tollerare l’angoscia della perdita inevitabile della madre, che conosce da sempre e che, tuttavia, fa fatica a riconoscere? […] Chi siamo quando i ricordi svaniscono l’uno dopo l’altro e sopravvivono solo alcune tracce del passato?». Prendersi cura di Annie, restituire ai suoi ricordi il loro posto e scoprire cosa custodisce la sua casa, saranno l’ennesimo punto di rottura nella vita di Alessandra. Gli oggetti che contiene la casa di Annie saranno un ponte per Alessandra, per recuperare la sua stessa memoria: «Gli oggetti sono carichi di memoria Alessandra, non sono mai neutri, continuano a dialogare con noi anche quando sembrano privi di voce e di anima».
Oggetti che sono documenti, appunti e un fascio di lettere in cui è racchiusa tutta la storia di Annie. Una giovane donna negli anni a cavallo degli anni Cinquanta: indipendente, che sceglie di lavorare, di rendersi autonoma economicamente, di autodeterminarsi e che cede all’amore perché Jean, il suo capo, poi suo marito, è caparbio e follemente innamorato di lei. Tuttavia, oggi sembra che nessuno sappia nulla di questo amore, nulla di ciò che c’è stato in quegli anni. Annie non parla di Jean e Pierre ricorda poche cose. In questo spazio vuoto si armeggia con i sentimenti. Se Alessandra cerca in qualche modo di aiutare Pierre e Annie, sarà la storia di Annie, la familiarità che scatenerà lo starle accanto, a fare in modo che sia l’anziana donna a suggerirle una rinascita. Un’altalena di emozioni (quelle del romanzo di Michela Marzano) che riagganciano un passato di cui si sa poco e un presente di smarrimento. Alessandra riavvolge il filo degli eventi finendo per ritrovarsi di fronte i suoi stessi fantasmi. Se il passato degli altri è così importante per noi, per capirci qualcosa prima che sia troppo tardi, allora perché non dovrebbe essere altrettanto importante il nostro? Perché non provare a trovare una soluzione ai nostri personali interrogativi?
«Ci sono i non detti che avvelenano la vita. Può darsi sia per colpa della memoria. Ma forse la memoria cerca solo di rettificare le cose, persino quando è tardi, e nulla riesce più a rendere giustizia alle vittime dell’esistenza».
Michela Marzano, in questo romanzo, imbastisce domande esistenziali, quelle stesse domande alle quali, l’essere umano cerca per tutta la vita di dare, anche inconsciamente, una risposta. È una scrittura carica di sentimenti, di mancanze, di oggetti quella di Michela Marzano, che affronta il tema della perdita, del bisogno di portare alla luce ciò che pensavamo di aver sepolto per sempre. Il racconto di una vita, di due vite, la sua capacità di condurci là dove le emozioni si spogliano del riassunto di noi stessi e ci obbligano a distruggere quelle certezze irremovibili che abbiamo costruito per difenderci. Rabbia, paura, disperazione ma anche una nuova identità saranno elementi con i quali Alessandra dovrà fare pace per riprendersi il suo futuro. Ammettiamolo, l’amore può essere ancora la chiave di tutto: «La dottoressa Brun ha detto che l’unica frase che non scompare mai è «ti amo», è quello che scelgono i suoi pazienti quando chiede loro di scrivere su un foglio la frase che preferiscono, anche se dalla propria esistenza non ricordano più nulla. È come se solo l’amore potesse ancora tenerli in vita. L’amore resta, pure quando l’oblio ce la mette tutta per cancellarlo, l’amore non sparisce mai».
Recensione di Paola Zoppi
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