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Rispetto all'insoddisfazione nei confronti delle narrazioni tradizionali e, soprattutto, nei confronti di quella che aveva posto il nazionalismo alle origini dello stato italiano, studiosi come Alberto Banti e Paul Ginsborg hanno recentemente riaperto la riflessione sulla "cultura profonda" del Risorgimento, cioè su quella "sorta di pensiero unico della nazione", che, sul piano politico, permise la connessione tra cultura e azione. All'interno della medesima prospettiva sembra collocarsi anche questo lavoro di Bagnoli, il quale, pur non introducendo nel dibattito elementi di novità, offre un'ampia ricognizione sulla genesi culturale dell'"idea di Italia" e sullo sviluppo delle diverse declinazioni politiche dei concetti di nazione, patria, identità, nell'arco di tempo compreso tra il Congresso di Vienna e il Regno d'Italia. Pur offrendo un quadro generale articolato, nel quale Manzoni è idealmente messo in dialogo con Leopardi, Balbo con Gioberti, Cattaneo con Mazzini, Garibaldi con Cavour, sono numerosi tuttavia gli aspetti del lavoro di Bagnoli che non convincono fino in fondo. A prescindere da alcuni limiti, tra cui un'eccessiva girandola di citazioni, che talora disorienta il lettore, e un'esposizione che spesso e volentieri diviene involuta e quasi esoterica, sorprende la totale mancanza di riferimenti al contesto e alle dinamiche socio-economiche che fecero da sfondo alla formulazione delle diverse "idee di Italia". In questo senso, scarsamente articolata e altrettanto scarsamente problematizzata, la riflessione svolta da Bagnoli sul "discorso nazionale" finisce per ricadere nell'ormai logora tesi dell'unificazione incompiuta, la quale, da un lato, considera scontata la "necessità del riunirsi in uno specifico politico" e, dall'altro, lamenta la mancata formazione di "un vero e proprio carattere nazionale che testimoniasse della nazione finalmente costituita". Federico Trocini
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