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I veri protagonisti del volume, più degli idealisti Croce e Gentile, i cui nomi spiccano nel titolo, sono i cattolici e le gerarchie vaticane con il loro tentativo, in gran parte riuscito, di "riconquista" della società italiana. Dopo i Patti lateranensi del 1929, sul piano della cultura una testimonianza, non solo simbolica, delle aspirazioni e della forza della chiesa si ha nel 1934, con la condanna all'Indice dell'opera omnia dei due massimi esponenti dell'intellettualità italiana.
L'apertura recente, e ancora parziale, dell'archivio della Congregazione per la dottrina della fede, ha reso disponibili agli studiosi alcune filze del Sant'Uffizio relative agli anni venti e trenta del Novecento. Sulla base di queste fonti Guido Verucci ha ripreso e sviluppato la sua acuta e appassionata riflessione, avviata nel 1981 con L'Italia laica prima e dopo l'Unità, sui caratteri e sui limiti del processo di laicizzazione nella penisola, che conobbe un arresto all'inizio del Novecento, in coincidenza con l'emergere del clerico moderatismo.
Due decreti distinti, ma uguali nella forma ed emanati con la stessa data del 22 giugno 1934, includono nell'Indice dei libri proibiti gli scritti di Croce e di Gentile. L'esame delle loro opere da parte del Sant'Uffizio era iniziato formalmente due anni prima, dopo un trentennio di polemiche con il neoidealismo condotte con particolare intensità dalla "Civiltà cattolica", "la cui funzione di fondamentale portavoce delle istanze cattoliche e papali era destinata a crescere notevolmente a misura che si accentuava il distacco fra la Santa Sede e il Partito popolare". La rivista dei gesuiti aveva colto subito la forza culturalmente dirompente rappresentata dalla "rinascita dell'idealismo": la battaglia di Croce e di Gentile contro il positivismo anticlericale e massonico non aveva "spianato la strada al rilancio culturale e politico del cattolicesimo", come afferma l'autore, ma imposto al mondo cattolico avversari ancora più pericolosi e agguerriti. Due intellettuali uniti nella difesa di una filosofia soggettivistica, e tuttavia fra loro diversi e quindi diversamente giudicati e affrontati.
"La scuola istituita dai privati è non meno pubblica della scuola di Stato, perché insegna pubblicamente ed a chiunque vuole frequentarla". Questa frase non è tratta dai giornali odierni, non solo cattolici, a riflettere una realtà ormai consolidata in Italia; essa appare sulla "Civiltà cattolica" del 1919, quando questa realtà appariva ancora assai lontana. Con la nuova accezione di "scuola pubblica" propria del mondo cattolico, commenta Verucci, "si perdeva (...) il senso avuto, quanto meno in Europa, a partire dalla fine del Settecento e dal primo Ottocento, dal ruolo attribuito allo Stato nei campi fondamentali, un tempo monopolio della Chiesa, del matrimonio e della famiglia, dell'insegnamento e dell'assistenza, ruolo considerato garante della uguaglianza e dei diritti di tutti in questi ambiti".
La riconquista complessiva della società italiana da parte della chiesa ha fatto leva sulla scuola e ha avuto un primo successo con la riforma Gentile del 1923, pochi anni dopo che "Civiltà cattolica" aveva enunciato il suo "programma massimo". Il volume si apre non a caso con la ricostruzione della battaglia per la riforma della scuola condotta da Gentile, fin da quando nel 1907 riconobbe la funzione dell'insegnamento della religione cattolica nelle elementari, e con la simpatetica attenzione con cui la seguì "Civiltà cattolica". E la scelta di Verucci di dedicare alla questione scolastica più di tre quinti di una ricerca che ruota attorno alla condanna all'Indice di Croce e di Gentile appare pienamente giustificata.
L'accoglimento di numerose richieste cattoliche da parte di Gentile, fiducioso nell'effetto propulsivo della competitività, incrinò fortemente la laicità dello stato avviando la successiva "cattolicizzazione" del sistema scolastico, con l'incremento delle scuole private e la progressiva penetrazione cattolica in quelle pubbliche. Per il "programma massimo" della chiesa la riforma del 1923 costituì tuttavia solo un "punto di partenza": "Civiltà cattolica", che non aveva mancato di lodare il ministro attualista, avanzò sempre nuove pretese e criticò aspramente l'influenza di Gentile sull'insegnamento della filosofia, per i suoi contenuti razionalisti.
L'offensiva cattolica si intensificò e si generalizzò nel 1929, quando i Patti lateranensi indebolirono Gentile all'interno del regime. Al VII congresso nazionale di filosofia del maggio 1929 Gemelli attaccò la concezione dello stato etico, "punto d'incontro fondamentale" tra attualismo e fascismo, per cattolicizzare quest'ultimo distaccandolo dalla filosofia gentiliana. Mentre il Sant'Uffizio sottoponeva a severo esame i manuali di storia, di filosofia e di pedagogia usati nei licei, dove forte era la presenza di docenti idealisti, nel 1930 "Civiltà cattolica" accomunò "per la prima volta" Gentile e Croce nell'accusa di soggettivismo.
Il 15 luglio 1932 la condanna all'Indice della Storia d'Europa di Croce, ritenuta "empia" per la sua difesa di una "religione della libertà" senza Dio, appare improvvisa, anche se giustificata dalla fortuna dell'opera: l'attenzione riservata a Croce dai cattolici non era stata infatti, secondo l'indagine di Verucci, pari a quella dedicata a Gentile. Da allora furono prese in esame le altre opere di Croce, di cui si temeva l'influenza presso le persone colte, e, per affinità dottrinale, anche quelle di Gentile, con l'esplicita volontà di non sbilanciarsi, colpendo, accanto all'antifascista Croce, il fascista Gentile.
L'esigenza di tener conto del quadro politico spiega come siano occorsi due anni per arrivare alla condanna del 1934. Verucci ricostruisce con la consueta accuratezza e maestria l'iter che vede nel gennaio 1933 la relazione di padre Gemelli su Gentile, che rispetto a Croce, afferma il rettore della Cattolica, "esercita una più vasta e più dannosa influenza sulla attuale cultura media e inferiore italiana", e nell'aprile successivo quella di padre Filograssi su Croce; quindi la decisione di condannarli entrambi e contemporaneamente; infine, il rinvio della condanna per attendere l'indebolimento della posizione politica di Gentile.
Per Verucci la condanna voleva colpire la filosofia idealistica e il suo obiettivo principale non era Gentile, come sostenuto invece da altri studiosi; ma proprio la ricostruzione dell'autore, incentrata sulla questione della scuola, suggerisce qualche dubbio sulla sua conclusione. Lavorando contemporaneamente sugli stessi documenti, per una nuova edizione del mio volume Giovanni Gentile. Una biografia (pp. X-597, 27, Utet Libreria, Torino 2006), ho cercato di dimostrare come la condanna dell'intellettuale attualista stesse particolarmente a cuore alla chiesa, per lo scontro che la opponeva al fascismo e per la volontà di conquistare spazi nella scuola pubblica.
Ritengo significativo che il nome di Gentile appaia per la prima volta nelle carte del Sant'Uffizio il 4 luglio 1932, poco dopo l'anticipazione sulla stampa, l'11 giugno, della prima versione della voce "Fascismo" dell'Enciclopedia italiana, firmata da Mussolini ma notoriamente scritta da Gentile, direttore dell'opera. Quel testo presentava il fascismo come "concezione religiosa" e lo stato come un'entità totalitaria superiore alla chiesa: per le proteste di Pio XI, Mussolini aggiunse subito una nuova parte sulla Dottrina politica e sociale, in cui si afferma che "lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo italiano".
Già nel 1929, del resto, Gentile aveva raccolto una "diceria" su una sua condanna all'Indice, e nel 1930 Gemelli aveva inviato alla Santa Sede un promemoria sulla filosofia gentiliana. Si era nel pieno dello scontro sull'educazione dei giovani, che la chiesa rivendicò a sé con le encicliche del 31 dicembre 1929 e del 5 luglio 1931. Gemelli, che nel gennaio 1933 aveva riconosciuto i meriti di Gentile ministro, abbandonò nel maggio 1934 quei dubbi che un anno prima avevano frenato la sua condanna e quindi anche quella di Croce, che si era deciso di decretare assieme: mentre nella scuola l'influenza di Gentile si andava estendendo, scrisse, la posizione dominante assunta dal pensiero spiritualista e cattolico lo aveva indebolito all'interno del regime. La condanna del filosofo non poteva più essere interpretata come un attacco al fascismo, mettendo così a rischio l'assetto della scuola.
I due intellettuali reagirono al decreto riaffermando la propria laicità, pur diversamente connotata. Ma nella società in cui continuarono a operare, e soprattutto nel mondo della scuola, i cattolici, anche se non riuscirono a sconfiggere nota giustamente Verucci la cultura storicistica che con l'idealismo si era affermata nell'insegnamento superiore, avevano compiuto un nuovo passo, premessa di un'egemonia che sarebbe sopravvissuta al fascismo.
Gabriele Turi
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