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Ilio Barontini è stato un importante esponente del movimento comunista italiano, nel cui ambito si distinse non già per l’elaborazione teorica o le capacità propagandistiche, ma per l’azione pratica che, nella temperie storico-politica di quegli anni, significò soprattutto azione militare. Egli partecipò alla fondazione stessa del PCd’I, fu segretario della sezione di Livorno, conobbe le carceri fasciste, espatriò su invito del centro estero, fu esule in Francia, poi in Algeria, quindi in Urss e, dopo una parentesi in Manciuria, – dove apprese i rudimenti della guerriglia – approdò in Spagna e, in assenza di Pacciardi, fu a capo del Battaglione Garibaldi nella battaglia di Guadalajara. Prima ancora della vittoria franchista Ilio fu incaricato della più leggendaria fra le sue imprese: organizzare la guerriglia in Etiopia, attività che lo impegnò fino al rientro in Francia nel 1940. Mettendo ancora a frutto l’esperienza militare istruì e diresse gruppi di franc-tireurs in Francia e di gappisti in Alta Italia e fu infine comandante partigiano in Emilia. Nel corso dei miei studi avevo spesso incontrato la figura di Barontini e speravo che affrontarne la biografia sarebbe stato per me un momento stimolante; le mie aspettative sono andate tuttavia deluse in quanto gli elementi di novità sono pochi e la validità del testo risulta inficiata da una sfilza di imprecisioni: 1. Mussolini non era cavaliere quando fu incaricato di formare il governo nel 1922 (pag.40); lo sarebbe divenuto nel ’36. 2. Matteotti non fu bastonato (pag.41) ma accoltellato dai membri della Čeka del Viminale. 3. I parlamentari secessionisti non si ritirarono in una sala intitolata all’Aventino (pag.42), ma si riunirono nella Sala della Lupa decidendo di abbandonare i lavori parlamentari e denominando l’atto come le secessiones plebis romane. 4. Gramsci non tornò in libertà nel 1937 (pag.50) in quanto fu colpito dall’emorragia proprio il giorno del rilascio. 5. De Rosa era in Spagna già dal ’34 (pag.75).
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