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L'edizione italiana di L'image survivante, l'ultimo testo dedicato da Georges Didi-Huberman al pensiero dello storico dell'arte tedesco Aby Warburg (1866-1929), è da considerarsi, innanzi tutto, un esempio della migliore cura editoriale: la traduzione di Alessandro Serra è eccellente, i riferimenti bibliografici italiani molto precisi (anche se per La rinascita del paganesimo antico, la raccolta di testi warburghiani pubblicata nel 1966, non è menzionata la nuova edizione, Aragno, 2004) e le illustrazioni, di buona qualità, dispongono di didascalie complete. A una tale disciplina nella forma editoriale corrisponde un contenuto esposto con estrema coerenza: un rigore che certo s'impone a chiunque intraprenda un'esegesi warburghiana, dato che si tratta pur sempre di far galleggiare un complesso edificio interpretativo sulla base malferma di una "zuppa d'anguilla", come Warburg stesso definì il proprio stile. Per orientarsi nel labirinto teorico warburghiano, Didi-Huberman, impiegando un metodo che a volte si avvicina all'iconologia d'ispirazione panofskiana (come nell'analisi dei disegni di Warburg), ripercorre con grande profondità le letture, attestate o probabili, che sono all'origine delle intuizioni dello storico amburghese. I testi dello storico Jacob Burckhardt, dell'antropologo Edward B. Tylor, del filosofo Friedrich Nietzsche costituiscono alcuni dei riferimenti principali. Un rilievo particolare è attribuito a Ludwig Binswanger, direttore della clinica psichiatrica dove Warburg rimase in cura per tre anni: Didi-Huberman dedica infatti i suoi maggiori approfondimenti al lato psicologico dell'elaborazione storica warburghiana. Il filosofo francese ripercorre gli studi sui dettagli significanti delle opere d'arte (in essi si cela "il buon Dio", amava dire Warburg) sottolineando come questi rappresentassero per Warburg i sintomi di uno stato psichico e di una memoria inconscia appartenenti a un'intera cultura. Analogamente le Pathosformeln, ossia i motivi gestuali espressivi che ritornano, anche a distanza di secoli, nelle opere degli artisti, non sono considerate semplici riprese di modelli precedenti, ma sintomi della sopravvivenza di elementi antichi nella psiche e nella cultura, intesa come un'entità viva.
L'insistenza sull'interpretazione psico-storica della teoria di Warburg contrasta vivacemente con le tesi esposte nel più fortunato tra i testi dedicati allo storico tedesco, la sua Biografia intellettuale pubblicata nel 1970 da Ernst Gombrich (Feltrinelli, 2003); Didi-Huberman non manca di rilevare la distanza che lo separa dal grande storico dell'arte scomparso nel 2001. Tuttavia sono proprio le evocazioni polemiche di Gombrich, nonché di Erwin Panofsky, a rappresentare il lato meno riuscito del libro. Didi-Huberman rimprovera loro a più riprese di essersi limitati a sviluppare, attraverso i loro metodi di ricerca, soltanto alcune parti dei suggerimenti di Warburg. Visto lo straordinario impulso che entrambi hanno dato allo sviluppo della storia dell'arte, ci si chiede perché mai avrebbero dovuto tributare a Warburg un culto rigidamente ortodosso che lui per primo avrebbe certamente disapprovato.
Nicola Prinetti
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