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Ho aspettato quattro anni per leggere questo libro. Fuori commercio prima, esiliato dall’inventario dei cataloghi di ogni libreria, il destino di questo libro sembrava abbattersi anche nelle rivendite online: per qualche anno Fumaroli si è nascosto in una di quelle grotte che Leonardo e Poussin hanno dipinto con tanta grazia, e che l’erudito francese ha descritto con tocco sublime e commosso. Poi, la notizia fatale: il libro è tornato in commercio. Da quando l’ho avuto fra le mani, ogni parola letta mi sembrava un miracolo improvvidamente concesso dal cielo. Difendevo questo libro dai raggi corruttori del sole, dalle folate di vento, dalle mani barbare dei miei parenti: Fumaroli doveva essere soltanto mio. Da questi libro si esce rivoluzionati. Non si è più lo stesso uomo. In 600 pagine l’erudito parigino spiega il senso devozionale delle immagini, le incisioni dei libri, il cambiamento dei frontespizi a metà seicento, il soggiorno a Roma di Poussin e quello a Parigi di Marino, le scuole dei gesuiti, la controriforma, la pittura italiana, il Parnaso e molto altro ancora. È un libro di una bellezza indicibile, eterea: le descrizioni di Fumaroli non evocano le cose di cui parla, ma le riproducono. Ho come l’impressione che libri così non saranno mai più scritti... Per questo leggeró tutto Fumaroli.
Fumaroli è un impareggiabile recensore di stili letterari, conoscitore finissimo della storia della comunicazione visiva. Dal dettaglio, sempre focalizzato e contestualizzato, la sua visione si amplia in modo da abbracciare un modo di essere, di fare cultura, l'ideale di un secolo e di una nazione! La storia delle idee, della cultura ha avuto in Benedetto Croce un maestro, nei filologi e storici dell'arte tedeschi i precursori, nei grandi intellettuali europei gli antesignani! Il periodo preso in esame dal maestro francese è il barocco, le influenze culturali promanate da Giovan Battista Marino, che attraverso le Dicerie Sacre scrisse di storia dell'arte! Compaiono nelle pagine di Fumaroli anche personaggi non secondari ma dalla memoria appannata, come Virginio Orsini e Marcello Giovannetti, ascolano seguace del Marino! Lo studioso francese prende in esame anche la retorica gesuitica, asiana, secondo i parametri del Brutus ciceroniano, contrapposta a quella degli adepti di Port Royal, atticista! Lo consiglio vivamente a chi vuole crescere da un punto di vista culturale!
Recensioni
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recensione di Parlato, E., L'Indice 1996, n. 1
In tempi serrati e a distanza ravvicinata dall'edizione francese (1994), Adelphi propone in traduzione italiana "La scuola del silenzio" di Marc Fumaroli. Così, dopo avere fatto conoscere il polemista dal giudizio sferzante di Lo stato culturale, l'editore milanese torna all'immagine più consona al massimo esperto di retorica gesuitica.
La stella di Fumaroli è legata a due volumi che hanno lasciato il segno negli studi sul Seicento: "L'ƒge de l'éloquence" (1980) ed "Eroi e oratori" (1989, tradotto dal Mulino), ai quali si aggiunge il recente "La Diplomatie de l'esprit" (1994). In questo contesto "La scuola del silenzio", per il suo carattere di raccolta di saggi editi tra il 1975 e il 1994, potrebbe apparire come un rapsodico sconfinamento nel mondo delle arti figurative, dell'incisione e, soprattutto, della pittura.
Non è così. Ispirato a una frase del poeta cattolico Paul Claudel - "la peinture est l'école du silence" -, il titolo rimanda alla muta eloquentia, alla pittura intesa come afona poesia e risale quindi al paradigma umanistico dell'"ut pictura poësis": quella speculare corrispondenza tra linguaggio verbale e visivo, che così profondamente ha inciso nella teoria e nella prassi della pittura italiana e non solo italiana. Tre capitoli sono dedicati a Poussin, peintre-philosophe che ricorre nel testo, quasi a costituirne il filo conduttore. Non si tratta di sciovinismo francofilo: dalle opere e dagli artisti prescelti - Raffaello, Reni, Domenichino, tra gli altri - risulta evidente la predilezione di Fumaroli per una visione verticale, rischiarata da Apollo, sempre intesa come un 'gradus ad Parnassum'. L'interesse di un letterato per le arti figurative nasce quasi per paradosso da un contesto verbale, dalla retorica, l'arte di Quintiliano e di Cicerone. Lo scacco della parola, incapace di esprimere la Verità, impone l'uso della metafora e di tutte quelle tecniche di sostituzione che consentano almeno di avvicinarvisi per approssimazione: l'immagine figurata si sostituisce all'argomentazione logica. Un procedimento messo in atto dai pensatori cattolici nella seconda metà del Cinquecento, nel confronto con lo scarno e disadorno pensiero protestante; un atteggiamento del tutto analogo vale per le immagini, dove all'iconoclastia o alla neutralità dei riformati si contrappone l'iconodulia cattolica. "Quando trionfa l'iconoclastia - afferma Fumaroli - la retorica va in esilio".
Pittura di meditazione quindi: Fumaroli è capace di trasportarci da sant'Ignazio a T.S. Eliot, di ricondurci poi alla mobile staticità dell'"Atalanta e Ippomene" di Guido Reni e di dimostrare infine che il tema profano sottende una riflessione religiosa. Percorso tra parola e immagine: Fumaroli riprende la via tracciata a suo tempo da Mario Praz negli "Studi sul concettismo", attraversa il Teatro di Memoria di Giulio Camillo Delminio, per restituire la "parola" alla pittura. La retorica è infatti l'arena dove hanno sede categorie di percezione e di giudizio condivise da artisti, scrittori, e dal loro pubblico. Per Fumaroli va oggi ritrovato quel carisma spirituale che il Concilio di Trento restituì al verbo e all'icona, dato fondamentale per comprendere l'immaginario barocco, e quel complicato intreccio tra parola e immagine.
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